03 giugno 2014

Una lampadina sui vangeli - La morte di Gesù

Terza puntata di quella che ormai sta diventando una saga degna del miglior Guerre Stellari. Che già i 3 nuovi… mah. Adesso che devono fare pure il settimo episodio… doppio mah. Comunque, dopo aver chiarito i comandamenti e demolito il diavolo, è il turno della morte di Gesù. E della sua resurrezione. Mica pizza e fichi. Lucas, fai un film su ‘ste cose, se ci riesci. Anzi no, va, lascia perdere che è meglio: di gadget religiosi ne abbiamo già a bizzeffe.

La storia di Gesù e del Cristo è esattamente ciò che ognuno di noi è destinato a vivere, a sperimentare. No, non moriremo tutti crocifissi in qualche piazza pubblica, tranquilli.

Leggendo un po’ i vangeli (adesso sto leggendo Marco) ho notato una storia in 3 fasi, caratterizzate da 3 tipi leggermente diversi di immagini e di concetti, che vanno a formare un cerchio.

Prima parte
E’ la nascita della coscienza nel corpo, l’immacolata concezione dello spirito con Maria, l’unione tra il mascolino e il femminino. I due princìpi si fondono e danno vita alla manifestazione “terrena” della coscienza. Giuseppe è il corpo fisico. Infatti,

Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. […] ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. […] [22]Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: [23]Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa “Dio con noi”. [24]Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, [25]la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.

Matteo 1, 18-25

Maria e lo spirito santo, i due princìpi basilari, si fondono in una sorta di esperienza sessuale celeste. Maria, la coscienza, il femminino, il vaso, il recipiente, porta nel suo grembo il potenziale divino. Giuseppe, il mascolino terreno, l’animale figlio della natura meccanica, prende Maria in sposa senza nemmeno conoscerla, ovvero: la coscienza, piena di potenziale, entra nel corpo fino ad allora ignaro che essa esistesse. Giuseppe si “sveglia dal sonno”, ha la prima scarica di consapevolezza, comincia ad essere vivo e, inevitabilmente, prende con sè la coscienza. Da questa unione fisico-eterea “nasce” Gesù, il trait d’union tra l’animale e il divino, la potenzialità della consapevolezza di realizzarsi pienamente nel corpo. Non è una nascita vera e propria, dato che la coscienza non ha inizio nè fine, è infinita: è più una venuta al mondo, diciamo.

Seconda parte
E’ quella più lunga. In pratica è il cammino della consapevolezza nella vita fisica e il suo scontro con l’animale, con l’ego, con la bassa consapevolezza e le sue “qualità”. I farisei, i sadducei eccetera. E’ anche la parte che più parla a noi, intesi come esseri identificati che hanno dimenticato la loro reale essenza. Ogni malato che Gesù guarisce siamo noi, in questo senso; Pilato che non si prende la responsabilità; il popolo che sceglie Barabba; i sacerdoti, gli anziani e gli scribi siamo noi tutte le volte che facciamo i superbi e, attaccandoci alle parole, neghiamo il loro vero significato.

Thank You Jesus but

“Non posso mangiarlo. Sono vegano.”, “Quel pesce è stato testato per la presenza del mercurio?”, “Il pane è senza glutine?”

Siamo noi tutte le volte che crediamo di aver capito qualcosa solo perchè abbiamo memorizzato delle parole e ci attacchiamo ad esse al punto tale che perfino di fronte alla Verità, con la V maiuscola, le difendiamo strenuamente perchè, per noi, sono più comode e sicure. Ormai sono parte di noi.

Ogni volta che parla Gesù dovreste sentire qualcosa muoversi dentro: siete voi, il vero voi, che sta parlando al falso voi, a quello che credete di essere. Questo movimento o è talmente scioccante da stordire la mente e permettere alla coscienza di emergere un pelino, oppure porta un grado maggiore di conflitto interiore, alza l’asticella dello scontro per portare lì la vostra attenzione. Lo scontro tra il bene e il male è questo, eh: è lo scontro tra il divino e l’animale. Ma il male non è Il Male, non è sbagliato o da ripudiare: non c’è giudizio. L’animale è l’animale, punto. Non è sbagliato, è quello che è. Ma noi non sappiamo cos’è, per cui giudichiamo. Il giudizio è una spia che ci indica mancanza di consapevolezza. E’ come avere un compagno di viaggio che, di fronte a una determinata situazione, ci dice “Guarda che non hai capito. Sveglia! Dobbiamo tornarci, su ‘sta cosa. Sei bravo/a ma non ti applichi”. Con “animale” intendo non solo la materia più “bassa” ma anche la mente. In pratica sono gli strumenti “terreni”, quelli “nati” qui e predisposti in questo spettro di frequenze per permetterci di vivere l’esperienza qui.

Terza parte
E’ la crocifissione di Gesù. E qui è l’apoteosi della meraviglia. Noi mettiamo in croce la consapevolezza e ci illudiamo di poterla uccidere, ma quella ci fa “Tiè!” con un bel gesto dell’ombrello e ci lascia lì a bocca aperta come i pirla che siamo.

In questa parte cambia la rappresentazione di Gesù, il quale non è più inteso interamente come consapevolezza, come qualcosa di immateriale e perfetto, perchè a morire non è la consapevolezza ma il corpo, la materia, l’animale, l’ego, chiamatelo come volete. La coscienza continua a vivere (la resurrezione) libera dai “vincoli terreni”. Ha trasceso l’animale, il mondo, il dualismo e si è realizzata nella sua perfetta pienezza. Ma qual è il momento in cui Gesù smette di essere una rappresentazione della consapevolezza? Le parole sulla croce.

Sulle parole che Gesù dice in croce, “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, c’è un dibattito. Ci sono due scuole di pensiero: quella più classica che si rifà direttamente alla traduzione evangelistica, ovvero “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?”; e un’altra, più nascosta, che sono venuto a conoscere un po’ di tempo fa tramite Rocco Bruno, la quale sostiene che Gesù, in quel momento, non abbia parlato in ebraico ma in lingua Naga, del Tibet, o addirittura in lingua Maya. Quindi, seguendo questa teoria, la traduzione sarebbe qualcosa tipo “Ora mi immergo nella presenza di un nuovo giorno”.

Ora, a me è sempre sembrato molto, ma molto strano che Gesù di colpo venisse abbandonato così da Dio. Questo praticamente da sempre, da molto prima che iniziassi a interessarmi di controinformazione. Pensavo: cioè, scusa, fai tutto ‘sto casino, figlio di Dio e menate varie, e poi il paparino ti molla lì come uno stronzo qualunque a morire tra atroci sofferenze? C’è qualcosa che non quadra. Quando, poi, è iniziato il viaggio nella controinformazione, ho pensato che quelle parole e l’immagine di Dio che abbandona perfino il suo figlio prediletto siano state aggiunte dai potenti di turno per sminuire e schernire Dio e togliere dunque ogni speranza alle persone che in queste cose credevano (e credono tuttora), ovvero tendenzialmente il popolo. Poche parole per aumentare il potere dei potenti, in pratica. Quando ho sentito la traduzione “alternativa” dalla bocca di Rocco Bruno mi sono sentito quasi sollevato, nel senso che dava conferma ai miei dubbi e forniva una spiegazione decisamente più logica e sensata all’intera faccenda.

Ora, però, mi trovo a rivalutare in positivo anche la versione canonica. In sostanza, vanno benissimo entrambe le versioni. “Ora mi immergo nella presenza di un nuovo giorno” è già straordinaria di suo perchè lascia intendere la vittoria sulla morte e la morte non può che essere quella “fisica”, la vittoria della vita sul mondo. Fantastico. Ma probabilmente la traduzione canonica è addirittura più efficace. Sostenere infatti che Gesù, poco prima di morire, dica “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” significa cambiare la rappresentazione di Gesù stesso: da questo momento in poi non raffigura più la coscienza cristica ma “si abbassa” al livello dell’animale, dell’ego, della natura meccanica. Dunque, quello che poco dopo trova la morte non è la coscienza ma l’ego, o chiamatelo come volete. E’ un espediente concettuale geniale perchè altrimenti, se non ci fosse, noi penseremmo che quella a morire in croce sia la coscienza, l’essenza dell’essere stesso. Ma scusate, ma la coscienza non mica è immortale? Non è mica senza inizio nè fine? Ma se muore significa che è anche nata. Ma quindi la coscienza farebbe parte di un ciclo, sarebbe figlia del dualismo. Sarebbe figlia del diavolo.

Capite quanto sono importanti quelle parole? Servono a farci comprendere chi è che muore in croce. Ci fanno comprendere che non muore la coscienza e che non può mai morire perchè è eterna ed infinita. A morire è “il figlio del mondo”, diciamo, è quello stato d’essere che non percepisce l’intrinseca unità del tutto. Morire, trascendere la personalità, sono sinonimi. Congiungere gli opposti, superare il dualismo, uscire dalla ruota delle reincarnazioni, uscire dal samsara.

E così si chiude il cerchio e torniamo all’inizio, a Maria e Giuseppe, all’entrata della coscienza nel corpo, inevitabile e al tempo stesso “volontaria”, “spontanea”. Il “ciclo” fuori da ogni ciclo, l’infinito. Stupendo.

Il destino di ognuno
Rallegratevi! La storia di Gesù/coscienza è assolutamente positiva perchè, alla fine della fiera, è la storia di ogni singolo essere vivente nell’universo e fissa in parole quello che è il destino di tutti: la realizzazione, l’illuminazione, la sconfitta del diavolo, l’uscita dai cicli, la vita, la salvezza dell’anima, l’ingresso nel regno dei cieli. Ci sono mille modi di etichettarlo, sceglietene uno. Noi, la coscienza/consapevolezza, la denigriamo, facciamo i superbi, stiamo male e la molestiamo, ci erodiamo dentro fino allo sfinimento e ci illudiamo di poterla vincere, bloccati come siamo nel dualismo, nell’animale, nella natura meccanica e ciclica. Ma non ce n’è: alla fine vince lei. E quando succede, si sente che siamo noi a vincere. Il vero “noi”, il “Dio con noi”, quello nascosto sotto una montagna fumante di sterco mentale ed emozionale. Ognuno di noi sta combattendo una guerra assurda e per di più senza la minima speranza di vittoria. Siamo “in opposizione” a noi stessi, dei fantasmi nati e destinati a morire che si buttano strenuamente “in guerra” contro l’eterno ed infinito.

Arrendetevi. Sparite, fate spazio e lasciate emergere ciò che è sepolto. Tanto, alla fine, verrà fuori comunque.