21 maggio 2018

Quando la realtà è il contrario

In più occasioni ho sottolineato come le parole e i concetti da capire ci siano già tutti: basta solo... capirli. Per farlo, è necessario prenderli e lavorarci sopra. Il risultato è che, quelle parole e quei concetti, li abbiamo fatti nostri. Per prenderli e lavorarci sopra, è necessario mollare un istante la titanica mole di idee, convinzioni, giudizi, pregiudizi e credenze a cui siamo tanto affezionati. Per mollare tutto ciò, è necessario uscire dalla gabbia della nostra percezione attuale. Per uscire dalla gabbia, è necessaria un po' di umiltà. Per essere umili, è necessario fare un passo indietro: "forse non ho tutte le risposte e magari alcune di quelle che ho sono basate su presunte verità altrui, o su ragionamenti influenzati dal mio contesto sociale, o su interpretazioni errate, o su esperienze altrui e non vissute da me in prima persona".

L'altro giorno il titolo di un articolo su Internet mi ha attirato: "Lettera aperta a Krishnamurti". Avete presente, no, il famoso filosofo/maestro spirituale indiano. Devo dire che non l'ho mai seguito molto, non mi ha mai "harbato" alla follia, ma un po' il suo pensiero l'ho ascoltato e letto. Va bene: apro l'articolo dal blog "Maestro di dietrologia" e lo leggo. Wow, ragazzi. È meraviglioso. Illuminante, oserei dire.

"Perchè?", vi chiederete. Semplice: perchè, da quelle parole, risulta chiaro come mille soli estivi che l'autore, in merito alla spiritualità o evoluzione individuale, non ha capito un beneamato cazzo. Ma niente, proprio.

E non c'è nulla di male in questo. Lo ritengo un articolo illuminante davvero, perchè mette in evidenza un tipo di approccio alle idee che è tipico della maggioranza delle persone nella maggior parte dei casi. Per dire, basta pensare alla questione "Dio esiste oppure no": un puttanaio atomico di gente che è convinta che esista e altrettanti che hanno le prove logiche della non esistenza, in un dibattito destinato ad andare avanti fin quando l'umanità non verrà scacciata dalla faccia della vita. In quanti, però, si chiedono: ma non è che stiamo basando tutto su un'idea di Dio sbagliata?

Ecco: l'autore della "lettera aperta a Krishnamurti", come purtroppo un numero mostruoso di persone, non rientra nell'ultimo modo di ragionare. Lui ha letto o ascoltato le idee di Krishnamurti (che poi sono sempre quelle, in giro da migliaia di anni... Il buon Jiddu non ha inventato nulla di nuovo), si è convinto che cozzassero con le sue convinzioni e le ha rigettate in blocco. Ha provato a capirle? Manco pe' niente. Esempio.
"Il discorso sulla libertà intesa come assenza di scelta, il discorso del pensiero dell'IO visto come limite umano, il discorso contro il dualismo.
Dicevi che proprio questa divisione dualistica impedisce la percezione diretta che è alla base del conflitto e dell'infelicità dell'uomo. Tutto ciò, però, è contraddetto dal fatto che sei sempre attento a qualsiasi alito di vento mentre cammini, alla faccia dell'assenza del'IO e dell'EGO, del lasciarsi andare, sei il primo a tradire i tuoi intenti.
Non c'è persona più egoica di quella che pretende di insegnare ad azzerare la memoria personale ed il pensiero mentale dell'IO, questo nirvana come luogo-non luogo di salvezza dal mondo illusorio, è una chimera per gli schiavi.
"
"Annullare l'Io" non significa "azzerare la memoria personale e il pensiero mentale": significa "far morire" quella parte "inferiore" (la "natura bassa" di cui ho parlato nel post precedente) con la quale ci identifichiamo. Gesù diceva: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà." (Matteo 16, 24-25). Stessa cosa. La morte di Gesù in croce è essa stessa un'altra raffigurazione della "morte" della carne e della "nascita in spirito".

E, parentesi, è proprio quando l'Io/ego/chiamatelo-come-volete sparisce che si è davvero "sempre attenti a qualsiasi alito di vento". Quando invece è presente l'Io, è l'inconsapevolezza a regnare sovrana perchè è lui a prendersi tutta l'attenzione, a vivere al posto nostro. È il contrario, insomma.

Comunque... Altro esempio.
"Forse devono viaggiare parallelamente per essere compiute e realizzate queste due vie, non può esistere spirito senza materialità, come piacerebbe a voi GURU / NON-GURU, il pensiero oggettivo, l'osservazione pura del mondo e stronzate del genere, NOI siamo incarnati in questa realtà proprio perché dobbiamo sperimentare il dualismo e non baipassarlo, dobbiamo sperimentare i sentimenti che sono la base del dualismo, la libertà in questa dimensione deve passare dal "sangue", dalla terra, a meno che il padrone di turno non faccia il suo mestiere ed allora potremo anche noi saltare queste fasi di apprendimento sociale."
Il dualismo non va bypassato: va trasceso. È diverso. Bypassarlo significherebbe saltarlo, ignorarlo; trascenderlo significherebbe comprenderlo, studiarlo, capirlo. È il contrario. Chi ha detto di "bypassare il dualismo"? Non ricordo esattamente ogni singola parola pronunciata da Krishnamurti, ma sono piuttosto sicuro non abbia mai inteso di "saltare il dualismo". Avrà forse detto di "uscire dal dualismo", che non è proprio la stessa cosa.

Insomma, avete capito. Cos'è successo? Questo tizio ha interpretato i concetti che ha sentito da Krishnamurti riportandoli alla sua visione, al significato che gli è stato detto che quei concetti hanno. Interpretazione, in pratica. Ma vi dirò di più: scommetto che l'autore non ha nemmeno mai minimamente tentato di capire davvero. Non si è mai messo lì a dire: "Aspetta, cos'è che ha detto questo qui? Io... Non-Io... Cosa intende? Cos'è l'Io? Zittire la mente? Cioè?". Nulla di tutto questo. Ha sentito che "la mente è sempre occupata a pensare e non c'è mai spazio per qualcos'altro. Dunque bisogna zittire la mente" e ha subito associato questa idea con "annullare i miei pensieri, le mie conoscenze, me stesso. È un'idea sbagliata, fa comodo al potere, quindi la rifiuto". Ma questa non è l'idea di Krishnamurti, del Buddismo, dell'Induismo, del Cristianesimo o di qualsiasi altra filosofia dell'evoluzione personale seria: è la sua stessa idea personale. L'autore non sta rifiutando un pensiero altrui: sta rifiutando la sua stessa interpretazione di un pensiero altrui.

E lo facciamo tutti, eh, molto spesso anche.

Negli ultimi anni mi è capitato di leggere della "teoria della Terra piatta". Ricordo che, all'inizio, rimasi talmente colpito da un'ipotesi del genere che ne fui interessato. "È una cosa talmente grande e ovvia, la forma della Terra, che potrebbe benissimo essere una bufala". E non sarebbe nemmeno la prima di proporzioni simili. Già solo questo senso di straniamento misto a fascino mi portò ad accantonare un attimo le mie (e, penso, vostre) convinzioni in merito, facendomi decidere di andare più a fondo. Ho letto un po' di informazioni a favore del "terrapiattismo", guardato immagini, video... Insomma: mi ci sono tuffato senza pregiudizi. Ero proprio semplicemente curioso, come un bambino. Quando sono stato soddisfatto dalla ricerca, ho tratto la mia conclusione: la "teoria della Terra piatta" è una cagata pazzesca. Sarei potuto giungere al medesimo verdetto senza spendere tempo ed energie con una ricerca? Sì, penso di sì. Però mi piace, e ritengo sia più corretto, tenere la mente aperta e analizzare seriamente punti di vista anche strani e fantasiosi. Solo così, prendendo informazioni e facendole nostre, ci si può fare un'idea delle cose, ma spesso non lo facciamo. Eh vabbè...

Ne approfitto, intanto, e cito ancora un passaggio dell'articolo per evidenziare un punto spinoso che io stesso ho faticato a comprendere, nel corso del mio cammino: l'osservazione.
"Capisco faccia comodo al POTERE, lo stesso che poi ti mantiene (brutto termine, ma quello si REALE e poco illusorio), fare tabula rasa del pensiero soggettivo, della nostra di coscienza, LUI si adopera a fare bene il suo mestiere, siamo noi che latitiamo e poi ci chiedi di osservare, di non ribellarci, di non fare nulla... 

Ok, dammi i tuoi soldi allora, poi ti prometto che rimango impassibile come una canna di bambù."
L'osservazione è la chiave della comprensione di noi, dei nostri meccanismi. Osservarsi significa diventare consapevoli di ciò che siamo/di ciò che è. E spesso, quando si cerca una spiegazione di cosa significhi "osservare", si legge qualcosa del tipo: "osservare significa non farsi trascinare dagli eventi, dai pensieri, dalle emozioni. Allo stesso tempo non significa 'resistere' o 'opporsi' ad essi. Significa 'lasciare andare'". Letto così, è facile associare l'osservazione con la passività: qualunque cosa succeda, io non faccio niente e lascio che vada da sè.

Nulla di più lontano dalla realtà. In effetti è l'esatto contrario della realtà.  State guardando il telegiornale e appare Renzi; lo vedete... e vi incazzate perchè è di un'antipatia unica. Ok? Bene. La prossima volta che guardate il tg e appare Renzi, lo vedete... e vi incazzate perchè è di un'antipatia unica, da prendere a sberle quanti sono i granelli di sabbia sulla faccia della Terra e sul fondo del mare.

Voi reagite. Giusto? Ok. Domanda: secondo voi, il vostro è un atteggiamento attivo o passivo? Pensateci bene. Tutte le volte che Renzi appare al tg, voi reagite sempre incazzandovi. Siete attivi o passivi?

Come avrete facilmente intuito dalle mie domande, la risposta è la seconda (ma va?): "passivi". Ma perchè? Perchè bisogna intanto chiedersi chi è che reagisce: siete voi o è il "pilota automatico" animale? La reazione è spontanea o "addestrata"? Sfido chiunque a dire con la certezza più assoluta che la reazione è spontanea. Perchè non lo è. A un certo punto, Renzi vi è stato sui coglioni per qualche motivo (come sta sui coglioni anche a me) e da lì in poi la sola vista del suo faccione paffuto genera in voi un certo fastidio. E voi cosa fate? Seguite questo fastidio. È lui a prendervi per mano, e voi accettate il suo invito senza che ve ne accorgiate.

Rifaccio la domanda: secondo voi, il vostro è un atteggiamento attivo o passivo? Scegliete di seguire il fastidio... o vi fate trascinare?

L'osservazione è l'esatto opposto. Io osservo il fastidio, non faccio resistenza (cioè non lo reprimo) nè mi faccio prendere: lo osservo. Io sono altro, sono staccato, separato. Lo sento, lo vedo, lo percepisco, lo vivo... ma sono in una posizione per cui scelgo io se ed eventualmente come seguirlo. Questo è un atteggiamento attivo. Si chiama "libertà". Voi guardate Renzi al tg, magari il fastidio lo provate, ma su di voi non ha effetto a meno che non siate voi a decidere che lo abbia.

Come fare? Accorgetevi. Fermate il pilota automatico, mettetevi in mezzo, interrompete il flusso, siate presenti. Lo si può fare in ogni momento della giornata e risulta particolarmente efficace farlo mentre si sta provando un'emozione, o un pensiero che genera un'emozione, negativa. In questo modo ci si renderà conto che quell'emozione, scatenata da un evento o un pensiero, è fragile, ha fondamenta leggere e, per di più, non è l'unica e sola emozione sperimentabile in quel determinato momento per quelle determinate cause. Trasmutare le emozioni da "succhiatrici di energia" a "donatrici di energia" non significa "cambiare i pensieri" e farli diventare tutti positivi. Quella è una forzatura, una sostituzione di merda brutta con merda bella: sempre merda è. Qui non bisogna sostituire niente: bisogna solo riconoscere ciò che già c'è. Punto.

È uno sforzo di volontà non indifferente ma tanto, ragazzi, la prospettiva finale è sempre e solo una: a un certo punto, qui, si deve morire. Preferite andarvene tormentati avendo vissuto solo per un paio di minuti, se vi è andata bene, oppure avendo provato davvero a vivere ogni singolo istante?
A voi la scelta.

16 maggio 2018

Siamo in due. Letteralmente.

M'è capitato che mi tornasse la scimmia verso la tematica spirituale/evoluzione personale. Dio santo, solo scrivere queste due etichette mi fa venire la pelle d'oca. Se penso a quanto sterco emerge nelle nostre teste quando si legge la parola "spiritualità"... Oceani marroni e mollicci di farneticazioni sul "qui e ora", sulla mente, sulla presenza eccetera eccetera. E quando si parla di "spiritualità" si pensa a qualcosa di etereo, impalpabile, volatile, filosofico nel senso deleterio e immateriale del termine. E invece, cazzo, è più materiale del materiale. È la materia della materia.

Non so esattamente come ma qualche settimana fa ho provato un piccolo "scatto" di consapevolezza, un fuoco che si è acceso e ha scosso la mia volontà. Allora ho sentito la spinta di un ritorno a queste tematiche e mi sono imbattuto, tra parentesi, nell'alchimia, che altro non è che l'ennesimo vocabolario diverso per descrivere le stesse cose nelle quali mi sono imbattuto in questi circa 10 anni. A meno che, certo, non la si intenda come mettersi lì con alambicchi, bunsen, provette e imbuti a giocare al piccolo chimico per trasformare il piombo in oro.

Ma non sono qua per disquisire di alchimia. Vorrei invece parlare di un dato di fatto, che forse è IL dato di fatto per eccellenza, l'inizio di qualsivoglia processo di evoluzione individuale: l'identificazione. O meglio: la consapevolezza dell'identificazione.

Ne ho già parlato, qualche anno fa (i lettori d'antan lo sanno molto bene: credo di aver fatto loro 'na capa tanta su 'ste cose), ma di acqua sotto i ponti ne è passata abbastanza ed è giusto tornarci sopra con una consapevolezza diversa e, spero, una maggiore chiarezza. È un'evoluzione del concetto di "diavolo", ovvero "colui che divide". Divide cosa? Noi dall'esperienza diretta del divino (cioè della vita, di noi stessi, dell'essenza ecc). Avevo già detto che il diavolo, in sostanza, siamo noi nel momento (cioè sempre) in cui ci identifichiamo con la nostra natura animale. Liberandoci da questa identificazione saremo liberi come esseri viventi.

Bene: è davvero così. Nel nostro corpo ci sono realmente due... intelligenze, potremmo definirle: una animale, meccanica, "bassa", egoica; una animica, viva, "alta", totale.

L'intelligenza animale, chiamiamola "natura bassa", si basa su pochi ed efficaci istinti: sopravvivenza e riproduzione. Da questa natura nascono tutte quelle emozioni e pensieri che normalmente definiamo come "negativi": paura, violenza, rabbia, tristezza, odio, bisogno di considerazione, invidia, inadeguatezza e non solo. Ma anche la pulsione sessuale, l'ossessività, il bisogno sempre di qualcosa o qualcuno per "essere felici".

L'intelligenza animica, chiamiamola "natura alta", invece è la fonte di tutto ciò che è positivo: amore, compassione, felicità, entusiasmo, allegria, altruismo, senso del servizio, innamoramento, gioia, comprensione e chi più ne ha più ne metta.

Ci siamo fin qui? No perchè, di solito, già entrare nell'ottica che forse non siamo esattamente come di norma ci percepiamo è una bella lotta contro un quercia con radici profondissime e contro un'enorme confusione interiore. Ok, ora: una volta fatta questa bella classificazione, che mi sta a significare?

Che c'è un'inculata. In sostanza è un discorso di attenzione e, come conseguenza, di identificazione. Nel corso della nostra vita abbiamo dato sempre più attenzione alla "natura bassa". Il risultato è che questa si è in un certo senso avvinghiata a noi, ha preso la nostra forma e ci guida costantemente attraverso i suoi loop, i suoi cicli fatti di azioni ripetute sempre uguali fra loro. Ti insulto? Ti insulto la madre? Tu ti incazzi e mi prendi a vangate nelle palle. Lo fa un altro? Tu ti incazzi e lo prendi a vangate nelle palle. Vedi una bella donna? Ti parte l'embolo. Ne vedi un'altra? Ti parte l'embolo.

Attenzione: non dico che sia sbagliato (perchè non lo è). Dico solo che è meccanico, automatico. L'animale, che ragiona in termini di sopravvivenza (attacco-difesa) e riproduzione della specie, è così. Punto. L'inculata è che non ci accorgiamo di cosa accade nel momento in cui accade, e quindi lasciamo che sia l'abitudine dell'animale ad agire al posto nostro. "Ma come? Come fa ad agire l'animale? Sono io che agisco". No! È questa l'inculata! È credere di essere presenti quando in realtà non lo siamo. "Perdonali perchè non sanno quello che fanno", diceva giustamente qualcuno. Crediamo che incazzarci quando ci insultano sia l'unica via disponibile perchè l'animale ha sempre fatto così. L'animale si sente minacciato e quindi, per istinto di sopravvivenza (sul quale l'influenza sociale ha costruito mille castelli di idee e abitudini), reagisce rizzando il pelo. Il che va bene, è il suo lavoro.

Ma chi l'ha detto che bisogna sempre seguire la rabbia? Nessuno. È questo il bello. E c'è un trucco per capirlo in prima persona: accorgersi. Nelle piccole noie quotidiane, quando si sente crescere la tristezza, la rabbia o quello che è, anche solo il fastidio, tac! Bisogna accorgersene, essere presenti. "Da dove viene questa cosa? Perchè provo fastidio? Chi è che lo sta provando, qual è l'origine?". E occhio perchè non è tanto un lavoro psicologico: è proprio un esercizio di presenza. È rendersi conto davvero qui e ora, non andare a cercare il trauma dell'infanzia di un padre che ci prendeva a cinghiate tenendoci la testa nel water subito dopo averci cagato dentro. È proprio un: "ora, adesso, questa emozione, questa sensazione... da dove viene?"

Allora, piano piano, accade un piccolo miracolo. Ci si rende conto che moltissimi dei nostri pensieri e giudizi hanno lavorato in automatico per anni e provenivano da un'intelligenza che non siamo noi. Si crea lentamente una sorta di spazio e sorge una sottile ma quantomai tangibile consapevolezza: l'animale è altro da noi. Noi non siamo l'intelligenza animale: siamo quell'altro, quella che prima ho chiamato "intelligenza animica", "natura alta". Più che un'intelligenza, c'è un altro termine che aiuta a definirla meglio: è una volontà. L'animale, l'intelligenza biologica, in sè, non ha volontà: reagisce agli stimoli esterni in maniera meccanica. Non è che vuole agire in un certo modo: è che non può fare altrimenti. "Esegue degli ordini", per così dire.

La volontà, invece, è un qualcosa di vivo, di intuitivo. La volontà agisce, perchè è l'unica parte realmente viva in noi. La volontà è l'essere, è quella parte che muove, che "sposta le montagne". Per rendersi conto, ci vuole volontà. Bisogna volerlo. Ci vuole una "abitudine volontaria", cioè una sorta di disciplina, di metodo, per cui ci mettiamo fisso in testa e nel corpo e in ogni dove di accorgerci di quello che facciamo e pensiamo; di osservare il motivo, l'origine del nostro comportamento. Perchè, al 99%, è una reazione meccanica, morta. Di sicuro lo è quando viene dall'animale. Quindi ogni volta che c'è rabbia, paura eccetera, ma anche solo lamentarsi, quello è al mille per mille l'animale. NON SIAMO NOI. Viceversa, ogni volta che c'è amore, gioia, innamoramento eccetera, eccoci lì! Quello che facciamo, e che abbiamo fatto per anni e anni, migliaia di giorni e fantastiliardi di secondi, è dare talmente tanta attenzione alla natura bassa da finire per credere di essere lei.

Quello spazio, quella separazione fra la nostra consapevolezza e la natura bassa, è scomparso, o forse non l'abbiamo mai avuto da quando siamo nati qui, da quando siamo "scesi nel corpo". Ciò non significa, però, che non possa esserci. Cominciando ad accorgersi (ovvero diventando consapevoli, ovvero osservando), lentamente, un pezzettino alla volta si crea spontaneamente questo spazio, un'intercapedine fra noi e l'animale. Con il tempo e la perseveranza l'animale avrà sempre meno potere di portarci dove vuole lui perchè questo potere glielo abbiamo dato noi e ora ce lo stiamo riprendendo. Lo abbiamo delegato a ruolo di guida senza nemmeno rendercene conto. La volontà si è sempre più ritirata e la natura, che in qualche modo deve perpetuarsi, ha predisposto un "sistema guida d'emergenza" che però non ha le capacità necessarie per fare un buon lavoro sul lungo periodo. E difatti, dopo un po' di tempo così, la gente obiettivamente non capisce più un cazzo ed è il regno della confusione.

Gesù, in Pistis Sophia, lo chiamava "spirito d'opposizione", che viene assegnato all'anima, ne prende la forma e la porta a commettere i suoi peccati, sigillandoli a lei così che poi, se essa non capirà i "misteri della luce" diventando libera, verrà giudicata colpevole e sarà costretta a tornare nel caos del corpo in un'altra incarnazione. E ancora e ancora e ancora e ancora e ancora...

Volontà. "Questa che provo è rabbia. Non è più giustificabile. Questo non sono io". "Mi sto lamentando. Non è più giustificabile. Questo non sono io". Che ne so, invento... Ci sono mille modi per razionalizzare una presa di coscienza. E non crediate che basti accorgersi una volta di essersi appena arrabbiati per trascendere la rabbia: è un processo molto più lungo, fatto di piccoli passi su piccoli passi. D'altronde qui si parla di abbattere un mondo intero e pensare di poterlo fare con una sola picconata è quantomeno da ingenui.

Lo sforzo è solo ed esclusivamente una questione di volontà: quello che sorge dopo viene da sè, senza che noi dobbiamo fare la minima fatica di immaginare chissà cosa. Bisogna solo dare il colpo alla prima tessera del domino. Poi la vita sa cosa fare. Sempre.

29 gennaio 2018

Di memoria ce n'è fin troppa

Quante volte, specialmente in questi giorni, avete sentito parlare di "tenere viva la memoria dell'Olocausto perchè solo così è possibile evitare che si ripeta una tragedia simile"? Oppure che oggi come oggi c'è "un problema di memoria" o un "deficit di memoria"? "Bisogna ricordare", "la memoria è importante", "bisogna far sapere cos'è successo per evitare questi rigurgiti neofascisti".

Premettendo che, ragionevolmente, il 99,9% dei ragazzi al di sotto dei, diciamo, 15 anni sa della Seconda Guerra Mondiale, di Hitler e dei campi di concentramento. Anche solo di sghembo, per vie traverse, nel caso di uno che vivesse distratto su Giove. Ma anche se non fosse, il problema non è della memoria: la memoria c'è, le informazioni ci sono e girano alla grande. Qui nessuno si sta dimenticando niente.

Il nodo della questione "neofascismo" e "rigurgiti neofascisti" non è nella mancanza di memoria. Ma cosa credete, che 'sti neocretini siano degli ignoranti? Sono degli idioti, ma la storia l'hanno studiata esattamente come chiunque altro. La differenza è che ciò che per molti è assurdo, violento, ripugnante e da non ripetere mai più, per loro è un'utopia a cui tendere, un fasto passato da riproporre in tutta la sua magnificenza. Punto. Questo è il fatto.

Mi sono abbastanza rotto il cazzo di sentire parlare della "memoria dell'Olocausto" come panacea per ogni male. Non è così. La memoria è importantissima, ci mancherebbe, ma ricordare non basta. Sullo sterminio di milioni di persone ritenute inferiori c'è chi ricorda e disprezza e c'è chi ricorda e adora. La memoria è la stessa: sono le persone a essere diverse. È semplicemente stupido, e molto ma molto miope nonchè estremamente "politically correct", pensare che i neofascisti sono così perchè "non sanno cos'era davvero il nazi-fascismo": lo sanno, cazzo se lo sanno. Tra loro e gli altri cambiano soltanto gli occhi con cui guardare il fenomeno.

Forse la parte difficile è provare a mettersi anche solo un pochino nei panni altrui e provare a capire come funzionino. O forse è proprio la difficoltà di ragionare.

28 novembre 2017

La scientifica e la scienza (ovvero: la confusione tra il perché e il per-come)

Prendiamo un caso ipotetico. In una sperduta località di campagna nel Molise (notoriamente la regione italiana di cui sempre si parla ma mai si è vista, perfetta come set di scene fittizie) una donna viene ritrovata senza vita in un fienile, con le braccia mozzate e appoggiate accanto al cadavere. Partono le indagini, mentre il tremendo fatto giunge nei titoli di testa di Studio Aperto (il più famoso telegiornale fittizio della tv italiana). Dopo l'iniziale shock emotivo causato da tale efferata tragedia, l'italiano medio vuole soddisfare la sua morbosa, ma anche legittima, curiosità, ponendo di fronte al mondo la propria fatidica domanda: perchè? Arrivano gli inesorabili esperti del RIS di Parma e, dopo giorni di rilievi ed esami di laboratorio, giungono a delle prime, sconvolgenti, conclusioni: il cadavere femminile ritrovato è proprio di una donna, ed è morta di morte mortifera. Nelle giornate successive, la perspicacia e la temerarietà dei RIS definiscono la dinamica dei fatti: la morte è sopraggiunta non per sanguinamento dovuto all'asportazione degli arti superiori, ma bensì per soffocamento provocato con del fil di ferro.

Ma il popolo italico, imboccato e stimolato dai programmi televisivi pomeridiani sulle emittenti di Stato e quelle private, non si accontenta di avere la risposta relativa alla modalità dell'omicidio. D'altronde, la domanda posta originariamente non era "come è morta" ma "perchè è morta". Gli inquirenti indagano il marito della donna, del quale sono state trovate le impronte digitali sulla mannaia usata nel delitto. Dopo settimane di una rocambolesca caccia all'uomo nelle campagne vicino Bologna, l'uomo, tale Giovannino Lessopesce (detto "Ivan l'ucraino" per via dei suoi passati 3 matrimoni con altrettante badanti dell'anziana madre) viene catturato. Per la confessione è solo questione di ore. Avrebbe tagliato le braccia alla moglie come contrappasso per la di lei irrefrenabile mania di spendere interi stipendi in smalto per unghie con strass diamantati. Letteralmente diamantati. Dopodichè l'avrebbe soffocata con il fil di ferro come contrappasso per la di lei altra irrefrenabile mania di esercitare ripetutamente fellatio verso l'istruttore della palestra che frequentava un giorno sì e l'altro pure.

Ora, e soltanto ora, il quesito originario dei figli dello Stivale trova soddisfazione. Ora, e soltanto ora, il movente, ovvero il "perchè" dell'omicidio, è stato svelato. Da qui in avanti sarà solo questione di saziare l'incommensurabile sete di rosso e vivido sangue tipica della folla popolare di d'ursiana tradizione. Ma questo è un altro discorso...

Ordunque per quale ragione vi è cotanta smania di conoscere la motivazione dietro un semplice omicidio, mentre quando l'argomento è la conoscenza del mondo e dei suoi nobili meccanismi si eleva la scienza a nuova dea e svavillante faro dell'umanità, quando essa offre risposte solamente alla domanda "come?" e non a "perchè?"? Quando una persona chiede la natura di una determinata forza, come per esempio la forza di gravità, e le si risponde con una formula matematica, e dandole magari pure la definizione di "forza", codesta spiegazione, per quanto accurata e brillante, pecca gravemente di realtà, perdiana.

Nell'anglofono idioma del Bardo, il buon Guglielmo Scuotilancia, c'è una bella espressione che indica esattamente il problema: "to fall short", che si può tradurre con "fallire", "venir meno", ma che letteralmente sarebbe "cadere corto", ovvero "fermarsi prima". La scienza scaglia la sua freccia, da novella Robin Hood, ma evidentemente o l'arco non flette abbastanza o Robin ha il gomito dell'arciere, perchè la freccia va, va, va, va e va ancora, poi inizia una preoccupante parabola discendente e lemme lemme si smorza a terra senza aver nemmeno percorso metà della sua strada verso il bersaglio.

Per carità d'Iddio, saper descrivere come un evento, una forza o vattelapesca, si manifesta e si compie è cosa buona e giusta ed un buon passo iniziale. Ma iniziale. Dopodiché bisognerebbe interrogarsi sulla natura vera e propria di quel fenomeno. L'abbiamo osservato, l'abbiamo misurato, l'abbiamo descritto: ora capiamolo. Cioè: ora spieghiamolo. Cioè: ora rispondiamo alla domanda "perchè?". Cioè: ora capiamo cosa realmente è.

Cos'è il Sole, cos'è una forza, cos'è l'energia, cosa sono gli occhi... Cosa, cosa, cosa. Perchè, perchè, perchè.

13 ottobre 2017

Da -10 a +10: il potenziale dell'energia

Oggi vorrei parlare un po' degli stati d'animo che viviamo nella nostra vita quotidiana e di come si riesca a passare da un'apparente quiete normale all'euforia o alla depressione. È stato un periodo bello e intenso, quello degli ultimi 2 mesi circa, e mi ha dato l'occasione di osservare un meccanismo in azione con noi e su di noi 24 ore al giorno. Vediamo se riesco a spiegarlo. Molto probabilmente non vi suonerà nuovo, così come non suona nuovo a me, però stavolta sono riuscito a farci caso e penso sia comunque utile razionalizzarlo.

Il primo aspetto da ricordare e incidere nella pietra è che noi non agiamo (quasi) mai: noi reagiamo agli stimoli, da quelli mentali interiori a quelli materiali esteriori, seguendo delle "vie" che abbiamo assimilato, spesso inconsapevolmente, dal mondo esterno durante l'arco di tutta la nostra vita, giorno dopo giorno. Sono una miriade di voci provenienti dai genitori, dagli amici, dagli sconosciuti, dal contesto sociale, da quello culturale, da un evento e chi più ne ha più ne metta. Ne ho già parlato fino alla nausea tante altre volte, per cui non vi tedio oltre, ma serviva ricordarlo perchè il resto del discorso vi si innesta sopra.

Quanti cambi d'umore abbiamo, anche solo nell'arco di una giornata? Normalmente sono balzelli, più che sbalzi veri e propri, fra una modesta positività e una modesta negatività, passando per attimi di strana apatia. Come immagine per aiutarci nel discorso, usiamo un'onda sinusoidale.

(Ho riadattato un'immagine da Wikipedia)

(Ragazzi, è tutta una roba teorica, un modo per rappresentare un qualcosa che si verifica sempre. Non è realmente così: è soltanto la modalità che viene più congeniale a me per spiegare un fatto, tutto qua, non attaccatevici troppo)

L'asse verticale è il potenziale; quello orizzontale indica il tempo (il periodo, nell'immagine, è costante, ma nella realtà varia continuamente: possiamo essere felici per un quarto d'ora, così come per un secondo o per ore e ore o giorni, e poi piombare nella tristezza idem per qualche minuto, ora o secondo).

Lo 0 indica l'apatia; +10 e -10 sono, rispettivamente, la massima gioia/felicità/amore e la massima tristezza/depressione/odio esperibili dalla singola persona. In quanto tali, sono dei valori chiamiamoli "ideali" o "teorici", virtualmente irraggiungibili o dei quali è comunque estremamente complicato essere consapevoli (chi può affermare con certezza assoluta che "più di così non posso essere felice/triste"?). Sono i valori del cortocircuito, quelli in cui il dualismo scompare per lasciare il posto, anche per un solo istante, a un'altra cosa, trascendente.

La verticale, come detto, è il potenziale. Cos'è il potenziale? È l'energia della quale possiamo disporre sempre, tipo il serbatoio di benzina per un'auto. Per sua natura è neutra: "diventa" positiva o negativa in base a come noi interagiamo con essa, ovvero in base a quale "via" le facciamo prendere (ecco perchè ho dovuto fare quella breve introduzione, prima). Di norma, come già detto, non siamo però noi a scegliere consapevolmente in che "via" farla andare: al verificarsi di un determinato evento, ne prenderà una in particolare e, mancando quasi sempre l'occhio vigile della consapevolezza (ovvero: mancando noi), continuerà a prendere la stessa "via" ogni volta che quell'evento si verificherà uguale. Premo il tasto "vol+" sul telecomando e la tv alza il volume. Fine del discorso.

L'ampiezza è la quantità di energia potenziale che usiamo effettivamente in un determinato momento. Di norma è piuttosto bassa, ma se ci lanciassimo col paracadute da un aereo ne useremmo molta di più. Pensate all'innamoramento, all'attesa per un evento importante, al nervoso per un colloquio di lavoro: a tutte quelle circostanze, insomma, che esulano dalla normalità e che, in un modo o nell'altro, alzano in noi il livello di tensione (spesso anche di adrenalina). Ecco, questa tensione è l'ampiezza, cioè l'energia potenziale che effettivamente stiamo usando, della quale siamo effettivamente consapevoli in un dato momento.

Spero di essermi spiegato in maniera quantomeno decente e minimamente comprensibile, perchè il fulcro del post arriva ora. La questione è semplice: noi, la nostra energia, non la sappiamo gestire. Siamo un balìa delle onde, nell'oceano in tempesta con una barchetta di legno. Normalmente, di tutta l'energia potenziale, ne usiamo poca. Diciamo che oscilliamo tra un'ampiezza che va da +3 a -3, da "moderatamente felici" a "moderatamente infelici" in base alle circostanze. In questi momenti riusciamo ad avere un'apparenza di sanità, di controllo, di stabilità. I problemi sorgono quando, dal serbatoio del potenziale, caviamo fuori più energia. Un evento gradevole, che prima ci avrebbe portato da 0 a +3, ora può portarci fino a +7, +8 o +9 (+10 lasciamolo là). La tensione è maggiore e, finchè si rimane sul lato positivo del grafico, "sciambola che figata bella gente!" ma attenzione, perchè l'ampiezza è sempre speculare, dato che la quantità di energia in circolo, essendo neutra, può andare tutta da un lato o tutta dall'altro allo stesso modo. Quindi si può cadere nel lato oscuro in egual misura: -7, -8, -9 (-10 lasciamolo là). E lì, da festeggiare, c'è ben poco.

Qui sorgono molto evidenti le nostre magagne. L'aura di normalità si dissolve peggio della neve su Mercurio e ciò che prima era solo un piccolo fastidio ora diventa una botta di nervoso allucinante, da sfondare il muro a testate. O forse no. Forse siamo troppo "positivi" perchè quel piccolo evento negativo possa portarci "dall'altra parte" ma, dovesse riuscirci, sono ca...voli amari. Naturalmente vale anche l'opposto: un piccolo gesto che di norma ci porterebbe una modesta felicità potrebbe non essere sufficiente a farci uscire dal miasma di depressione nel quale siamo temporaneamente caduti ma, dovesse riuscirci, proveremmo una felicità amplificata, di molto superiore al solito.

Il fatto è che non lo sappiamo. Non siamo in controllo. Finchè il mare è abbastanza calmo riusciamo a destreggiarci in qualche modo, ma al minimo temporale si capisce subito che il culo, su quella barca, ce l'abbiamo per grazia ricevuta e le istruzioni per muoversi in maniera sensata dobbiamo trovarcele noi. Il mare va capito, va osservato. Altrimenti è normale essere schizofrenici; è normale che si uccida e che ci si uccida, che si stupri, che si voglia metterlo in quel posto al prossimo sempre e comunque, che si voglia prevalere, che ci si arrenda, che si passi dall'euforia alla depressione e ritorno in un nanosecondo, che si rimanga nell'ignoranza, che si creda a chiunque e a qualsiasi storia, che si cerchi appagamento sessuale a nastro, che si faccia il bastardo, che si voglia avere tutto come dei bambini capricciosi, che si crei e si perpetui una società come quella in cui viviamo.

Ogni volta che c'è maggiore tensione significa che una maggiore quantità di energia è stata "attivata", prelevata dal "serbatoio", cioè dal potenziale. Quindi c'è anche una maggiore possibilità di comprensione, di lavoro con l'energia per arrivare al famoso cortocircuito. La bravura sta nell'imparare piano piano come indirizzarla in maniera costruttiva.
E hai detto poco...