14 marzo 2012

Essere gay è anormale

Calmi, calmi. Non è come pensate. Beh, in effetti il punto centrale è esattamente quello che state pensando o, meglio, come lo state pensando.

Chi ha detto che “essere anormale” è dispregiativo? Definiamo “normale”:

[nor-mà-le] agg., s.

agg.

  • 1 Riferibile alla norma, alla consuetudine; non eccezionale SIN abituale

Definiamo “norma”:

[nòr-ma] s.f.
    • 2 Consuetudine o comportamento medio, uso abituale: rientrare nella n.; è buona n. ringraziare per un regalo ricevuto

    • 3 Modello, tipo standard

Eppure inavvertitamente, attraverso l’abitudine sociale quotidiana, nel senso comune, “anormale” ha subìto una sorta di discriminazione linguistica e mentale, passando dall’indicare semplicemente una diversità riferita ad una minoranza, ad avere, nel fare ciò, una connotazione negativa.

Per cui, quando qualcosa o qualcuno viene definito “anormale”, scatta subito una risposta mentale indignata, offesa e discriminante. Altro esempio: i disabili sono anormali. Beh, è vero, non lo si può negare: la maggioranza delle persone non è disabile, ergo la norma è “non essere disabili”, ergo “i disabili non sono nella norma”, ergo “i disabili non sono normali”. Con questo non si vuole sottintendere una connotazione negativa, discriminatoria: è una semplice constatazione data dalla statistica e dall’esperienza della realtà.

Purtroppo c’è sempre questa quantomeno parziale sovrapposizione di significati tra “normale” e “naturale”, con il rischio di confondere i due concetti. Innanzitutto, a voler ben vedere, tutto, per il solo fatto di esistere, è naturale; se così non fosse, non esisterebbe. Altra cosa è “il normale”: dire che “i disabili sono anormali” è esattamente uguale a dire che “non utilizzare denaro in una transazione è anormale”. Sono semplici constatazioni, che non hanno nulla a che spartire con il concetto di “naturale” e sicuramente non intendono portare una costante discriminatoria.

“Anormale” è sinonimo di “eccezionale”, inteso come “diverso dalla maggioranza”. E qui si entra in un campo più grande della nostra cultura: disprezzare, o come minimo non vedere di buon occhio, il diverso, l’eccezione. Anche qui, il concetto di “diverso” si è ritrovato a malavoglia in compagnia di una connotazione negativa, come se il diverso fosse sempre pericoloso, da uniformare, da rendere normale. Ma su questo si possono scrivere interi trattati…

Lancio un invito a tutti a riconsiderare le connotazioni negative legate ad “anormale” e “diverso” e a cancellarle. Come? Nell’uso quotidiano. E’ sempre nel quotidiano che si crea il senso comune: si parte sempre dal piccolo ambito giornaliero, per poi, tramite la consuetudine e la ripetizione, arrivare a diffondere il cambiamento a livello collettivo, a mò di virus. Tutto qua, semplice semplice, ma efficace efficace: come pensate abbiano fatto, “anormale” e “diverso”, ad assumere una connotazione negativa? Ma che per caso è piovuta dal cielo? Eddaje…

09 marzo 2012

… e il resto non conta

Dal treno ho visto una scena bellissima, oggi, quasi poetica. Anzi, proprio poetica. Ha ripagato totalmente la tensione accumulata fino a un paio d’ore prima, quando ho sostenuto un esame in università, e di cui in questo momento porto i segni (sono scarico, l’adrenalina e la tensione sono sparite e hanno lasciato spazio alla stanchezza).

Protagonisti della scena, un signore sui 55-60 anni (credo, era abbastanza lontano), non longilineo ma neanche tondo, pantaloni lunghi scuri e giaccone altrettanto scuro, e il suo cagnolino, bianco, piccolo, ricciolino. Ah, e una pallina di gomma.

Il signore dimostrava buone doti calcistiche, dato che controllava sempre benissimo la pallina tra i suoi piedi e la spostava senza troppi problemi nel tentativo di non concederla al suo amico a quattro zampe. Il quale dimostrava una gioia e una giocosità incredibile, preso com’era ad andare a destra e a sinistra, avanti e indietro, scattando agilmente e arrestandosi in un amen, coda scodinzolante e occhi fissi sulla pallina. Finchè questa era tra i piedi dell’uomo, il piccoletto non azzardava scagliarcisi sopra, quasi come segno di rispetto: sembrava consapevole che il bello del divertimento era proprio questo suo atteggiamento. E andava a destra e a sinistra, sempre scodinzolando, preso completamente nel gioco.

E l’uomo… pure. Spostava la palla, faceva un paio di finte con le gambe, si girava e si girava ancora, si impegnava davvero. Pure lui era completamente preso dal gioco. In quel momento, esistevano solo 4 cose: l’uomo, il cane, la pallina e una superficie di cemento 4x4 metri, teatro del gioco. Tutto il resto dell’esistenza era superfluo, non serviva: non aggiungeva nulla alla perfezione di quello spettacolo. La spensieratezza e la felicità presenti sia nel signore che nel cane erano tutto il necessario.

Finchè siamo rimasti fermi alla stazione, sono rimasto pietrificato al cospetto di tanta bellezza, pura, semplice, incantevole. E quella energia, quell’atmosfera che permeava quei 16 metri quadri di cemento, per un attimo è arrivata anche a me: nulla importava davvero, il mondo sarebbe potuto letteralmente esplodere in quel preciso momento e non sarebbe cambiato niente. Probabilmente, non me ne sarei nemmeno accorto.

Davvero, è stato un qualcosa di divinamente meraviglioso. Ero in totale adorazione. Avevo davanti ai miei occhi, a una trentina/quarantina di metri di distanza, tutto il senso dell’esistenza, tutta la poesia cosmica, tutta la bellezza che deve per forza appartenere all’essenza di quel concetto universale comunemente etichettato come “Dio”.

Poi il treno è ripartito…