Calmi, calmi. Non è come pensate. Beh, in effetti il punto centrale è esattamente quello che state pensando o, meglio, come lo state pensando.
Chi ha detto che “essere anormale” è dispregiativo? Definiamo “normale”:
[nor-mà-le] agg., s.
• agg.
1 Riferibile alla norma, alla consuetudine; non eccezionale SIN abituale
Definiamo “norma”:
[nòr-ma] s.f.
-
2 Consuetudine o comportamento medio, uso abituale: rientrare nella n.; è buona n. ringraziare per un regalo ricevuto
-
3 Modello, tipo standard
Eppure inavvertitamente, attraverso l’abitudine sociale quotidiana, nel senso comune, “anormale” ha subìto una sorta di discriminazione linguistica e mentale, passando dall’indicare semplicemente una diversità riferita ad una minoranza, ad avere, nel fare ciò, una connotazione negativa.
Per cui, quando qualcosa o qualcuno viene definito “anormale”, scatta subito una risposta mentale indignata, offesa e discriminante. Altro esempio: i disabili sono anormali. Beh, è vero, non lo si può negare: la maggioranza delle persone non è disabile, ergo la norma è “non essere disabili”, ergo “i disabili non sono nella norma”, ergo “i disabili non sono normali”. Con questo non si vuole sottintendere una connotazione negativa, discriminatoria: è una semplice constatazione data dalla statistica e dall’esperienza della realtà.
Purtroppo c’è sempre questa quantomeno parziale sovrapposizione di significati tra “normale” e “naturale”, con il rischio di confondere i due concetti. Innanzitutto, a voler ben vedere, tutto, per il solo fatto di esistere, è naturale; se così non fosse, non esisterebbe. Altra cosa è “il normale”: dire che “i disabili sono anormali” è esattamente uguale a dire che “non utilizzare denaro in una transazione è anormale”. Sono semplici constatazioni, che non hanno nulla a che spartire con il concetto di “naturale” e sicuramente non intendono portare una costante discriminatoria.
“Anormale” è sinonimo di “eccezionale”, inteso come “diverso dalla maggioranza”. E qui si entra in un campo più grande della nostra cultura: disprezzare, o come minimo non vedere di buon occhio, il diverso, l’eccezione. Anche qui, il concetto di “diverso” si è ritrovato a malavoglia in compagnia di una connotazione negativa, come se il diverso fosse sempre pericoloso, da uniformare, da rendere normale. Ma su questo si possono scrivere interi trattati…
Lancio un invito a tutti a riconsiderare le connotazioni negative legate ad “anormale” e “diverso” e a cancellarle. Come? Nell’uso quotidiano. E’ sempre nel quotidiano che si crea il senso comune: si parte sempre dal piccolo ambito giornaliero, per poi, tramite la consuetudine e la ripetizione, arrivare a diffondere il cambiamento a livello collettivo, a mò di virus. Tutto qua, semplice semplice, ma efficace efficace: come pensate abbiano fatto, “anormale” e “diverso”, ad assumere una connotazione negativa? Ma che per caso è piovuta dal cielo? Eddaje…
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