26 agosto 2017

Abusivi e sgomberi: due pesi e due misure

C'è un parallelo fantastico in questi giorni. Due situazioni completamente indipendenti l'una dall'altra, eppure così concettualmente affini. Vedi la realtà, a volte... Sto parlando del caso "abitazioni abusive ad Ischia" e degli "scontri a Roma per lo sgombero di un edificio occupato da immigrati".

Più che le situazioni specifiche, ad essere interessante è l'ennesima dimostrazione di evidente parzialità dolosa riguardante giornalisti e commentatori mediatici, asserviti alla subdola e schifosa retorica sinistroide per cui "l'immigrato è meglio di te", in contrapposizione con l'altra retorica, quella destroide, più appariscente e urlata ma ugualmente inutile e nauseante, per cui "tu sei meglio dell'immigrato".

Da un lato abbiamo l'annoso problema delle abitazioni abusive e degli abusivi che le abitano. Riporto degli articoli sui disordini che si sono verificati a Casamicciola nel 2010.

Quando nel 2010 a Casamicciola si 'difendevano' le costruzioni abusive
Clamoroso episodio sette anni fa quando in via Montecito, nel comune ischitano, centinaia di persone si scontrarono con la polizia che doveva demolire una casa abusiva. Lanci di pietre e bottiglie. A nulla valsero gli appelli a rispettare la legalità
(da Repubblica.it

A Ischia è guerriglia, scontri per difendere le case abusive: alle 17 si demolisce
Barricate dei proprietari che cospargono la strada di accesso di nafta. Cariche della polizia, sei agenti feriti
(articolo del Corriere del Mezzogiorno del 2010)
Dall'altro abbiamo dei migranti stipati in un edificio a Roma, costretti da un'ordinanza a lasciare il luogo in questione per essere sistemati in altri posti.
Migranti sgomberati a Roma, scontri con la polizia: 13 rifugiati feriti

Tensioni in piazza Indipendenza, al centro di Roma. Video-shock: se tirano qualcosa spaccategli un braccio. Il prefetto: "Cʼerano infiltrati". Aperta inchiesta interna su frase agente
(da TgCom24)
Sgombero migranti a Roma, scontri e cariche con idranti. 'Rompete braccia', questura indaga agente 
La frase di un funzionario di polizia rivolta ai suoi uomini impegnati a inseguire i migranti sgomberati dai giardini di piazza Indipendenza spinge la questura di Roma ad aprire un'indagine formale sull'episodio. Campidoglio: trovato accordo per 40 persone con fragilità

(da RaiNews)
Vedete la differenza? Nel caso degli abusivi si parla di "guerriglia"; nell'altro di "tensioni". Nel caso abusivi si parla di "6 agenti feriti" (quindi i "cattivi" sono i manifestanti); nell'altro di "13 rifugiati feriti" (quindi i "cattivi" sono i poliziotti). In più, nel caso migranti, si sposta immediatamente l'attenzione sulla "frase-shock" di un agente, rafforzando la percezione di un uso esagerato della forza e dell'autorità da parte delle forze dell'ordine.

Il risultato è evidente: gli abusivi sono degli stronzi delinquenti, dei criminali (comunque ben lontani da quei seguaci di Hitler che non vogliono far vaccinare coattivamente i loro figli, mettendo in pericolo la collettività, ma che dico!: il futuro dell'umanità tutta), verso le case dei quali è giusto emettere ordinanze di demolizione. I migranti sono dei martiri, gli oppressi dal potere di forze dell'ordine degne di una dittatura stile Mussolini.

In soldoni: gli abusivi, di solito famiglie, devono finire in mezzo a una strada, non importa che ci siano anche dei bambini (ci tengo a dirlo, visto che di solito viene sventolata la solita ipocrisia del cazzo "OMMIODDIO! I BAMBINI! MA NESSUNO PENSA AI BAMBINI!!111!!!1!111!!!!??????). Gli immigrati, invece, vanno tutelati, difesi, protetti, aiutati, incentivati perchè, di solito, viene sventolata la solita ipocrisia sinistroide del cazzo per cui "LORO SCAPPANO DALLA GUERRA!!111!!1!11! LORO ATTRAVERSANO IL MARE SUI GOMMONI!!1!!1111!!!!!11111!!!" eccetera eccetera, implicando consequentemente il fatto che, per queste e altre ragioni ("SONO NERI!!111!!11!! SONO SEMPRE VITTIME DI RAZZISMO!1!!!11111!!!!11!"), loro siano "migliori di noi".

Questa è la situazione. Il ragionamento? L'obiettività? Un minimo di oggettività? No, shhhh! Oh, ma sei pazzo?! O sei pro-migranti o sei contro. Cioè: o sei una brava persona, accogliente, aperto al prossimo e al mondo, civile, un buon cristiano; o sei uno xenofobo, retrogrado, razzista, che costruisce muri invece di ponti.

O sei contro l'abusivismo e pensi sia giusto mandare intere famiglie in mezzo alla strada dalla sera alla mattina, o sei contro l'abusivismo e pensi sia giusto mandare intere famiglie in mezzo alla strada dalla sera alla mattina.

Sono i classici schieramenti spuri che si formano attorno a ogni minimo argomento venga sollevato dai media. Sono le mode del momento. C'è una posizione "giusta", "progressista", "buona" e una "sbagliata", "retrograda", "cattiva". Qualsiasi minimo di sensatezza, di ragionamento critico, di osservazione, viene scartato a priori, quando non addirittura fatto ricadere fra le opinioni "cattive" (per esempio, pensate che questo post sia razzista e xenofobo? Se sì, complimenti! Siete anche voi vittime del "politically correct", ovvero: non sapete riconoscere il senso di quello che leggete/sentite; non avete un minimo di pensiero autonomo; le vostre idee sono definite da parole-etichette altrui).

È "l'opinione pubblica", ovvero una massa di menti non educate che si focalizza sui temi e nei modi che un manipolo di altre menti, più organizzate, influenti e importanti a livello mondiale, dà loro in pasto.

È un mondo strano...

24 agosto 2017

Camion, auto e accoltellamenti: due pesi e due misure

Non faccio in tempo a distrarmi un attimo che me la fanno, senza se e senza ma. Neanche un mese fa ho scritto un post dal titolo "R.I.P. Isis™", nel quale parlavo di come i media avessero messo in terza-quarta pagina il caso (il primo dopo parecchio tempo) di un tale ad Amburgo che aveva accoltellato delle persone urlando "Allahu akbar", e arrivavo a suggerire che l'Isis fosse ormai (per il "sistema") ai titoli di coda.

A quanto pare qualcuno del Sedicente Stato Islamico™ legge Informazione Libera e Vera (complimenti, raga, ottima scelta. Adesso però voglio la "certificazione" da parte del Site) e, di fronte all'idea che la sua azienda potesse essere dismessa, ha fatto un paio di telefonate e stretto qualche mano incravattata e bum! via di news 24 ore su 24 sull'attacco a Barcellona. L'azienda è tornata a regime, come ai vecchi tempi. E il tutto bypassando i sindacati.

C'è un aspetto, però, che mi fa riflettere. Un tizio ad Amburgo attacca dei civili con un machete urlando "Allahu akbar". Ci sono tutti gli ingredienti per l'ennesimo attentato rivendicato dai soliti noti (che poi 'sta storia delle rivendicazioni me la devono spiegare...) MA! dopo poco tempo, cioè quasi subito, quando la notizia ancora non è stata praticamente diffusa se non in qualche ultimissima ora su Internet, la polizia "esclude la pista terroristica" e la conseguenza giornalistica è il "declassamento" della notizia a livello di un comune litigio famigliare.

Ma quindi il fatto che dietro ci sia (o si dice che ci sia) l'Isis o meno fa davvero tutta 'sta differenza? Dunque, se uno squarta gente ad minchiam per strada inneggiando ad Allah, tuttoapposto; se uno squarta gente ad minchiam per strada inneggiando ad Allah e l'Isis rivendica (ovvero il Site dice che l'Isis rivendica, perchè a quanto pare l'Isis ha una propria agenzia stampa ma gli unici al mondo che riescono a leggerla sono Rita Katz e soci) apriti cielo. Poi ci sono i casi "intermedi", ovvero quelli in cui uno squarta gente ad minchiam per strada inneggiando ad Allah e l'Isis rivendica ma la rivendicazione "è poco credibile", non vengono trovati "legami" tra l'attentatore e "gli uomini del Califfato™". In questo caso si parla di "lupo solitario™" o di "simpatizzante" e la notizia passa da un primo piano iniziale giù giù in seconda, poi in terza pagina, restando latente nella memoria, pronta per essere richiamata in caso di gol.

È un mondo strano...

09 agosto 2017

Fatti una domanda e fottitene della risposta

Osho aveva maledettamente ragione. Non che sia stato lui a scoprire nulla di particolare o di particolarmente nuovo e rivoluzionario. Le realtà fattuali di cui parlava sono conosciute all'uomo da millenni, forse fin da quando ha fatto la sua comparsa su questo tòcco di roccia chiamato Pianeta Terra, e da allora tramandate sempre in qualche forma orale e scritta fra le generazioni fino al giorno d'oggi. E anche nei momenti di massima ignoranza c'è sempre stato qualcuno che con le sue parole ha tentato di riportare in superficie la sfera più profonda, il nucleo fondamentale di ogni essere umano e della vita stessa, affinchè le menti non ancora "corrotte" oltre il punto di non ritorno potessero trovarsi faccia a faccia con quei concetti utili per essere elevate al di sopra del materialismo.

Osho è stato il primo personaggio con cui sono entrato in contatto (non fisicamente, ovvio) che parlava di come moltissimi pensieri, anche quelli che riteniamo più nostri, appartengano in realtà al "sistema" o alle persone che ci stanno intorno: noi li assorbiamo soltanto e li ripetiamo fino a credere che siano davvero farina del nostro sacco. Addirittura, in merito a quelli provenienti dai nostri conoscenti e dai nostri parenti, diceva di fare molta attenzione: osservandoli un filo più attentamente, sarebbe possibile sentirli non con la nostra voce, ma proprio con quella delle persone che li hanno detti originariamente.

E parlava di come noi fossimo come il cielo: le nuvole, ovvero i pensieri, possono essere poche o tante, ma vanno e vengono in continuazione e in ogni caso il cielo rimane lì dov'è, senza venirne intaccato. Il nostro problema, invece, è quello di andare e venire con le nuvole, "dimenticandoci" (o "non accorgendoci") che noi in realtà siamo proprio il cielo, là, immobile, imperturbabile, osservatore imparziale dell'incedere degli eventi sottostanti.

Aveva ragione. Cazzo, se aveva ragione. Ci sono voluti più di 8 anni per iniziare a comprendere davvero un pochino cosa intendessero lui e mille altri maestri della riscoperta umana ma, ragazzi e ragazze: avevano (e hanno) ragione.

Stavo ripiombando in una buca psico-emotiva per una ragazza. Sentivo tornare lemme lemme il suo ascendente su di me. Mi attira, non mi attira, mi piace, non mi piace, ha un carattere tendenzialmente di m... però è bella, non mi ha fatto perdere la testa, non mi vede "in quel senso", ma sai... Insomma, credo sia una situazione nella quale tendenzialmente tutti, prima o poi, si sono trovati (magari pure più e più volte). Stavolta, però, mi sarei anche un po' rotto le balle di sottostare all'ennesimo ingarbugliato tormento basato sui soliti castelli di carta. Così mi sono preso un attimo di tranquillità, mi sono seduto, ho fissato un punto davanti a me, ho iniziato a respirare calmo e profondo, ho osservato un attimo il respiro e mi sono posto una domanda: perchè torni ciclicamente a pensare a 'sta ragazza che ti piace e non ti piace e che ok, è una buona amica, ma nulla più?

È una domanda di cui penso di sapere la risposta, la quale infatti è arrivata subito o quasi, seguita a breve distanza da congetture alternative a cui credo meno. Ma stavolta non era questo tipo di risposta mentale, che cercavo: volevo altro, qualcosa di più vero, di mio. Perchè non è possibile che la vita sia solo una serie infinita di ciclici problemi psico-emotivi dei quali non si conoscono l'origine nè i meccanismi, intervellata da alcuni fugaci momenti di gioia e felicità. Così, la risposta mentale è arrivata... e se n'è andata. Non le ho dato peso. C'era una distanza fra me e i pensieri, fra me e ciò che il pensiero di quella domanda e di quella risposta stavano generando nel mio corpo. Finalmente, porca miseria, sono riuscito per un attimo ad osservare.

L'attenzione era sul corpo, mentre il respiro scorreva lento, regolare e i pensieri si facevano incostanti, radi, lontani. Era solo osservazione: niente resistenza, niente lotta, niente fuga. Per un attimo sono stato seduto in riva al fiume mentre passava il cadavere del mio nemico. Puf! Magicamente il legame con il tormento in questione si è spezzato.

E mi sono accorto di come siamo costantemente tirati da tutti le parti dai pensieri. In noi si sono formati dei percorsi, dei sentieri: qualcuno più recente (il che spesso significa più superficiale), qualcuno meno (spesso coincide con quelli più radicati, più automatici). In primis i nostri familiari e poi, chiamiamolo, "il sistema" ci hanno impresso dentro dei canali, delle strade, vie attraverso cui (re)agire, pensare, vedere e, in ultima analisi, vivere. Col tempo le vie aumentano, aumentano e aumentano: ci sono quelle più battute e quelle meno. Alcune vie generano percorsi nuovi, altre si agganciano ed estendono tratti già esistenti. Man mano che scorre la clessidra e quotidianamente, cadenzati da un invisibile metronomo, i percorsi mettono sempre più in profondità le loro radici, noi confondiamo tali strade "iniettate" dall'esterno per le nostre, fino a farci dire: "io penso questo, questo e quest'altro". Arriva uno stimolo esterno e noi reagiamo in un modo che pian piano diventerà standard e si ripeterà identico ogni qualvolta si presenterà il medesimo stimolo. E saremo convinti sia il nostro modo.

Appena si riesce (anche con una bella dose di culo...) a staccarsi per un solo istante anche soltanto da una di queste strade, ci si accorge di come "il sistema" sia ferocemente avvinghiato sotto la nostra pelle e agisca costantemente al di sotto del nostro livello di consapevolezza. Pistis Sophia, ve lo ricordate? Lo "spirito d'opposizione"... Cosa diceva Gesù in merito allo spirito d'opposizione?
"Non appena l’anima beve dal calice [dell'oblio], dimentica tutti i luoghi nei quali era andata, e tutti i castighi tra i quali era passata. Quel calice dell’acqua dell’oblio diventa un corpo all’esterno dell’anima, rassomigliante all’anima in tutte le forme, e simile a lei: esso è il cosiddetto spirito di opposizione. [...] Questo calice dell’oblio diviene per l’anima lo spirito di opposizione: resta all’esterno dell’anima, le fa da abito essendole simile sotto ogni aspetto ed essendo un involucro all’esterno di lei, come un abito."
Ed è così. Aveva ragione. Banalmente: ho provato a replicare l'esperimento. Mi sono seduto, ho fissato un punto davanti a me, ho iniziato a respirare calmo e profondo eccetera e mi sono fatto un'altra domanda, a caso. Risultato? Non sono riuscito ad osservare. Perchè? Per vari motivi: seguivo la domanda, seguivo la risposta e gli altri ragionamenti, ma il motivo principale è: perchè ero legato a un'aspettativa. "Già una volta, seguendo questo tipo di preparazione, sono giunto a un meraviglioso risultato; ora, ripetendo la medesima preparazione, mi aspetto di giungere al medesimo risultato". Ciao, buonanotte. E infatti non è successo niente.

C'è un percorso estremamente battuto, ovvero estremamente radicato, estremamente "rassomigliante all'anima", che è quello dell'aspettativa: in momenti diversi, ricreo le stesse identiche condizioni e mi aspetto di ottenere lo stesso identico risultato. Da cretino (leggi "inconsapevole") seguo questo percorso, mi lego ad esso, mi identifico totalmente con lui e con la mia aspettativa, e puntualmente non succede nulla. Ma è ovvio: c'è attaccamento e, se c'è attaccamento, per definizione non può esserci osservazione.

Capite quanto subdolo, profondo, costante, radicato e convincente (d'altronde parliamo del "grande ingannatore") è l'insieme delle meccanicità inconsapevoli che noi identifichiamo come "io"? Capite quanto la "retta via" sia un filo spesso meno di un capello e come sia facilissimo all'inverosimile cadere da una parte o dall'altra? Il 99,9999% del tempo cadiamo: per pura botta di fortuna (dal nostro punto di vista) ogni tanto capita quell'attimo di lucidità, da saper cogliere al volo per iniziare ad apportare delle modifiche, per cominciare a smuovere qualcos'altro rimasto sopito.

Porsi una domanda e osservare le reazioni fisiche, psicologiche ed emotive è un'ottima "terapia". Alla fine... Quanti anni è che scrivo di questi argomenti? Quanti anni luce di testi sono stati scritti in merito, nel corso della storia umana? Quante rappresentazioni sono state fatte, quanti vocabolari usati, quante immagini dipinte e storie raccontate? Bene, l'argomento "liberazione personale", "rinascita interiore", "risveglio, salvezza dell'anima" o vattelapesca, si può riassumere tutto in una semplicissima espressione: osservazione della meccanicità.

Tutto, dal punto spazialmente e temporalmente più lontano dell'universo, a noi stessi, a me che sto scrivendo e a te che stai leggendo in questo preciso momento, è meccanico, ciclico, di causa-effetto. È la natura di questa realtà in manifestazione. Vuoi comprenderla? L'unico mezzo a disposizione, che ti accompagna costantemente dall'attimo della nascita a quello della morte, sei tu, ovvero: corpo, mente e (fumosamente) anima. Osservati, osserva la meccanicità di ciò che è stato innestato sulla/nella tua testa, e di conseguenza nel tuo corpo, sui tuoi istinti.

Passa una bella figa e ti parte l'embolo? Quello è un percorso innestato, chissà quanti anni fa e da allora molto ma molto ma molto ma molto ma molto battuto/radicato, sul tuo istinto sessuale naturale (e, quindi, tra i più difficili da osservare/comprendere davvero). Non è il TUO percorso. Prenditi un momento di calma e fatti una domanda: perchè alla vista della prima gonnellina mi parte l'embolo? Sbattitene il cazzo delle risposte mentali che arriveranno. Osserva e stop. Osserva i pensieri, il corpo, l'emotività. Osserva e stop. Non farti tirare dentro, non combattere, non resistere, non seguire. E non forzarti. Osserva e stop. E non attaccarti a quello che ho scritto, che hai letto in giro o ti hanno detto. Osserva e stop.

Va da sè, si capisce, come questo esempio riguardi uno degli aspetti biologici più grandi e potenti della natura umana. Per cominciare, farei domande su aspetti meccanici più circoscritti e semplici. L'esempio è solo un caso clamoroso, forse il più clamoroso, col quale credo tutti (specularmente anche le femminucce) abbiamo a che fare. Serve solo per darvi un'idea teorica del discorso.

Perchè tanto lo sapete, no? Nessun'altro può comprendere per voi; nessun libro puoi dirvi la verità; nessuna scuola può insegnarvela; nessuna persona può darvela. Sta solo a voi.

03 agosto 2017

Il gatto di Schrödinger e Dio

Con la logica si può arrivare a tutto. Fate una ricerca su Internet e vedrete come la logica applicata all'esistenza o meno di Dio sia fantastica da ambo i lati: tra chi dice che Dio, se davvero fosse onnipotente, potrebbe scegliere di non esistere ma ciò significherebbe che ciò che non esiste in realtà esiste; chi dice che tutto ciò che si muove è mosso da qualcosa, e quindi l'universo è mosso da un'entità superiore, più grande... Ce n'è per tutti i gusti e ogni volta qualcuno viene fuori con "la prova definitiva" dell'esistenza di Dio o della non esistenza.

Sapete una cosa? Hanno ragione entrambe le parti. Dio esiste e Dio non esiste. Come è possibile? È il gatto di Schrödinger. Cito Wikipedia:
"Si rinchiuda un gatto in una scatola d'acciaio insieme alla seguente macchina infernale (che occorre proteggere dalla possibilità d'essere afferrata direttamente dal gatto): in un contatore Geiger si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, così poca che nel corso di un'ora forse uno dei suoi atomi si disintegrerà, ma anche, in modo parimenti probabile, nessuno; se l'evento si verifica il contatore lo segnala e aziona un relais di un martelletto che rompe una fiala con del cianuro. Dopo avere lasciato indisturbato questo intero sistema per un'ora, si direbbe che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo si fosse disintegrato, mentre la prima disintegrazione atomica lo avrebbe avvelenato. La funzione \Psi dell'intero sistema porta ad affermare che in essa il gatto vivo e il gatto morto non sono degli stati puri, ma miscelati con uguale peso."
Ovvero: il gatto è vivo e morto allo stesso tempo, fino a che un osservatore esterno non apre la scatola per verificarne lo stato effettivo.

Dio esiste e non esiste finchè la persona non "apre la scatola", cioè fin quando la persona non la smette di farsi pippe mentali su pippe mentali credendo di stare trovando le risposte giuste alle domande giuste, e non inizia davvero ad osservare "il sistema".

Un conto è dire "Dio è questo, questo, questo e ha questa e questa e questa caratteristica, quindi esiste/non esiste per questo, questo e quest'altro motivo"; un altro è saperlo. Un conto è prendere carta e penna e disegnare una macchina o una casa; un altro è avere la macchina o la casa davanti agli occhi. Un conto è indicare; un altro è sentire, provare, toccare. Un conto è rappresentare un'idea; un altro è viverne il significato. Un conto è parlare tanto; un altro è dire tanto.