02 marzo 2016

Adulti a fari spenti

Non voglio fare l'adulto-fenomeno navigato, quello che ha vissuto ogni tipo di esperienza possibile più e più volte, quello che ha girato il mondo in lungo e in largo al punto che gli conveniva comprarsi direttamente l'Alitalia e avrebbe risparmiato, quello che ha un aneddoto memorabile per ogni minima situazione e parola, quello che dispensa perle di verità e consigli di saggezza figli di una pluridecennale esperienza diretta di tutto ciò che può definirsi "vita", dal seminario alle droghe psicotrope. Non sono proprio titolato per essere questo tizio, però un piccolo pensiero fondato sull'esperienza diretta ce l'ho e vorrei condividerlo perchè sono abbastanza sicuro riguardi tantissime persone.

Riguarda la crescita, il diventare grandi. Perchè mi rendo conto che, nonostante io parli da una sempre più vicina soglia dei 30 anni (e direi che c'è di peggio...), a livello umano e personale sia migliorato sotto alcuni aspetti e peggiorato in altri. Di sicuro un lato decisamente cresciuto bene è quello della maturità generale: non mi ritengo super-maturo e c'è ancora parecchio da lavorare sotto questo punto di vista ma, rispetto a toh... anche solo 5 anni fa, di progressi ce ne sono stati. Altro aspetto positivo, del quale questo blog è la prova più evidente, è l'accresciuta comprensione della società in cui viviamo. Anche qui, niente di incredibilmente straordinario, però vi basti pensare che il pomeriggio dell'11 settembre 2001, quando mi mancavano pochissime settimane per compiere 14 anni d'età e il simpatico faccione di Giorgio W. Cespuglio apparve sullo schermo della televisione in cucina, io lo osservai e ascoltai le sue parole dalla porta-finestra con la mano destra solennemente sul cuore. Giuro su Iddio: è andata esattamente così. Potessi vederla ora, questa scena, andrei vicino al quasi 14enne me con un misto di pena e compassione fraterna, lo abbraccerei e gli direi: "Shh, shh, tranquillo, dai... Non è successo niente... Non è colpa tua, sono in tanti nelle tue condizioni".

Dopodichè, tornando al discorso principale, ho fatto e so fare più cose ora che 10 anni fa, quindi anche qui si va meglio. Idem per quanto riguarda il lato di cultura generale, quello analitico, il saper "leggere tra le righe" in svariati ambiti... Insomma, di passi avanti ce ne sono stati abbastanza, alcuni li sto vivendo proprio di questi tempi e di sicuro ne arriveranno molti in futuro.

E meno male, perchè ce ne sono stati altri nella direzione opposta. Ora mi rendo conto che, anche quando si dice "tornare indietro", "passi indietro" eccetera in realtà si sta sempre andando avanti, solo che non ci si accorge e si pensa che questo "male" (perchè tendenzialmente è così che percepiamo quando qualcosa non ci piace) sia effettivamente una regressione bella e buona, fatta e finita, il che aumenta la frustrazione, il rimpianto, il nervosismo e diminuisce l'autostima. E' un trappolone. Però devo esprimermi così, in questi termini di "involuzione", "peggioramento", se no non ci si raccapezza più, io non riuscirei a dire quello che vorrei dire e voi non lo riuscireste a capire.

Principalmente l'aspetto più peggiorato è quello della semplicità, ovvero quello più relativo al carattere. Qualche anno fa ero più simpatico, sorridente, spensierato non nel senso di "inconsapevole adolescenziale" ma proprio in termini di positività, di forza di andare contro le difficoltà, percepite in maniera più realistica e meno esagerata, e mazzularle fino a distruggerle, polverizzarle. Questa caratteristica si è un po' affievolita col tempo e le molte situazioni venutesi a creare nel mentre hanno generato arzigogoli mentali e complicazioni che hanno reso il tutto più nevrotico, meno spontaneo, più controllato (nell'accezione repressiva del termine). Allo stesso tempo sono andate crescendo la confusione e le preoccupazioni, spesso inutili ma nondimeno influenti.

Mi è, insomma, diventato un po' più chiaro perchè gli adulti siano fondamentalmente dei coglioni, nati come belle persone, cresciute felici della vita e successivamente "corrotte" a poco a poco da una mentalità stupida, figlia dell'inconsapevolezza più becera, imbottita di vaccate sempre più aderenti, appiccicate all'inverosimile attorno al loro nucleo essenziale ormai quasi totalmente nascosto, inglobato e attenuato nella sua forza. Dei malati mentali, in pratica.

E il tutto senza rendersene conto, o quasi. E' questo che intendo quando parlo di "inconsapevolezza": persone che da "semplici" diventano "complicate" come se niente fosse, di giorno in giorno, come se fosse il processo più normale del mondo, ma che dico! L'unico processo, quello naturale, ovvio. E allora, improvvisamente, ti ritrovi ad avere bisogno dello psicologo, dello psicoterapeuta, fino allo psichiatra. Capite la completa assurdità di una situazione simile? Capite la follia, l'inconsapevolezza? Una persona vive, giusto? Ogni giorno mette i piedi fuori dal letto e vive la sua vita, no? Eh no cazzo! Altrimenti, scusate, se io avessi controllo sulla mia vita (leggi "consapevolezza di me") non permetterei mai e poi mai di arrivare a un punto simile: sceglierei cosa fare e cosa no, come sentire le mille situazioni quotidiane in modo da trarne linfa per la mia comprensione e, in ultima analisi, per me stesso e la mia vita, la mia evoluzione. Se vivessi davvero "centrato in me", no scusate: SE VIVESSI DAVVERO, punto. Il fatto è che proprio non viviamo davvero: vaghiamo giorno per giorno rendendoci conto dello 0,1% (quando va bene) di ciò che facciamo, di ciò con cui interagiamo e di come ci influenza. E per noi è tutto normale, è così che è e stop, "questo sono io". Quando il tizio diceva "Perdonali, Padre, perchè non sanno quello che fanno" aveva totalmente, pienamente, assolutamente, indiscutibilmente ragione. Mai affermazione fu più veritiera nella storia dell'umanità.

Nel 2012-2013, solo per depressione sono andati in cura 2,4 milioni di italiani (solo per depressione!) mentre la fascia d'età maggiormente esposta a cure psichiatriche è quella tra i 45 e i 64 anni, seguita a ruota da quella dei 25-44 (ma la percentuale tra i 18 e i 24 è molto bassa, quindi presumibilmente sono maggiormente quelli sopra i 30 anni ad alzare la media). Non dimentichiamoci, poi, di tutti coloro i quali non si rivolgono all'aiuto medico: non è che stiano proprio così meglio degli altri, eh. Purtroppo non ho trovato dei dati nazionali ma solamente alcuni relativi alla Toscana, dai quali risulta che un toscano su due è ricorso almeno una volta nella vita allo psicologo.

E' una situazione piuttosto triste, che se non la si vive non si riesce a capirla (tra parentesi, non vado dallo psicologo). Tante volte guardando un adulto, diciamo, dai 40 anni in su, mi chiedo come fosse da ragazzo e come è stato possibile che sia diventato un cretino del genere. I peggiori sono i ragazzi della mia età. Quando ne vedo uno già bello che inquadrato, che glielo leggi negli occhi come abbia quasi perso quella fiamma di vita tipica dell'infanzia e dell'adolescenza, mi viene paura. Idem quando c'è il 50enne che si comporta ancora da 16enne, perchè non è che atteggiarsi sempre e comunque da adolescente a prescindere dall'età sia segno di una salute mentale migliore, di un sentire più genuino, anzi...

Si capisce un po' meglio quanto sia fondamentale tutto il discorso sulla consapevolezza? Non è una materia eterea, filosofica, da perditempo: è dannatamente materiale, fisica, tangibile e il fatto che non ce se ne renda conto è l'ennesima prova della malattia mentale da cui tutti siamo pesantemente affetti. Volete altre prove? Leggete un giornale, guardate la televisione, pensate al vostro punto di vista su una questione qualsiasi.

Perchè diciamocelo molto francamente: diventare adulti in questo modo fa schifo. Passare la vita con la consapevolezza che non stai davvero vivendo fa schifo. Avete presente... Perchè poi i fatti sono sempre lì davanti agli occhi... Avete presente l'espressione "botta di vita"? Perchè la si usa? Perchè diciamo "Ho bisogno di una botta di vita", se siamo già vivi? E allora giù col paracadutismo, il bungee jumping o altre attività "adrenaliniche"; giù con un'orgia, con la "trasgressione" tipica di Lucignolo su Italia 1; o se no diamo fuoco a un barbone, guidiamo ubriachi e fatti di crack, andiamo "a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire" ("Non è difficile!", come rispose sarcastico Paolo Rossi in un suo spettacolo). Perchè così allora sì che siamo vivi! Sono tutte attività che decidiamo di intraprendere per rispondere, inconsapevolmente, a questo senso di vuoto e non-vita che ci accompagna costantemente. Il problema è che ti prendi la tua "dose di vita", diventi euforico, esaltato, padrone incontrastato dell'universo ma dopo un'ora sei punto e a capo. E come potrebbe essere diversamente, se quella stupenda sensazione non è accompagnata da un reale cambiamento del tuo percepire te stesso, il mondo e la vita?

E lo psicologo/psichiatra/psicoterapeuta non è la risposta, perchè potrà sì aiutarti a togliere alcuni blocchi mentali, magari anche piuttosto pesanti, ma se poi continui a essere consapevole (perdipiù quasi sempre in maniera distorta) di una frazione di ciò che ti capita ogni giorno, siamo punto e a capo. Bisogna passare proprio oltre, uscire dalla personalità, dall'identità. Bisogna "rinnegare sè stessi", come diceva sempre lo stesso tizio di prima.

L'osservazione è la pratica migliore. Osservare la mente e il fatto che i pensieri scorrono senza pause anche quando non diamo loro retta, quando non li seguiamo nè rinneghiamo. Osservare come basti letteralmente un attimo, di una facilità disarmante, perchè un pensiero ci faccia rientrare nel flusso, nel mondo. Quanta energia, quanta volontà serve per "essere presenti" anche solo un singolo istante? E cosa significa "essere presenti"?

Dai va, basta per oggi. Spero solo che, tra un po' di anni, non sarà un impietosito quasi 14enne me a venire ad abbracciarmi.