16 maggio 2018

Siamo in due. Letteralmente.

M'è capitato che mi tornasse la scimmia verso la tematica spirituale/evoluzione personale. Dio santo, solo scrivere queste due etichette mi fa venire la pelle d'oca. Se penso a quanto sterco emerge nelle nostre teste quando si legge la parola "spiritualità"... Oceani marroni e mollicci di farneticazioni sul "qui e ora", sulla mente, sulla presenza eccetera eccetera. E quando si parla di "spiritualità" si pensa a qualcosa di etereo, impalpabile, volatile, filosofico nel senso deleterio e immateriale del termine. E invece, cazzo, è più materiale del materiale. È la materia della materia.

Non so esattamente come ma qualche settimana fa ho provato un piccolo "scatto" di consapevolezza, un fuoco che si è acceso e ha scosso la mia volontà. Allora ho sentito la spinta di un ritorno a queste tematiche e mi sono imbattuto, tra parentesi, nell'alchimia, che altro non è che l'ennesimo vocabolario diverso per descrivere le stesse cose nelle quali mi sono imbattuto in questi circa 10 anni. A meno che, certo, non la si intenda come mettersi lì con alambicchi, bunsen, provette e imbuti a giocare al piccolo chimico per trasformare il piombo in oro.

Ma non sono qua per disquisire di alchimia. Vorrei invece parlare di un dato di fatto, che forse è IL dato di fatto per eccellenza, l'inizio di qualsivoglia processo di evoluzione individuale: l'identificazione. O meglio: la consapevolezza dell'identificazione.

Ne ho già parlato, qualche anno fa (i lettori d'antan lo sanno molto bene: credo di aver fatto loro 'na capa tanta su 'ste cose), ma di acqua sotto i ponti ne è passata abbastanza ed è giusto tornarci sopra con una consapevolezza diversa e, spero, una maggiore chiarezza. È un'evoluzione del concetto di "diavolo", ovvero "colui che divide". Divide cosa? Noi dall'esperienza diretta del divino (cioè della vita, di noi stessi, dell'essenza ecc). Avevo già detto che il diavolo, in sostanza, siamo noi nel momento (cioè sempre) in cui ci identifichiamo con la nostra natura animale. Liberandoci da questa identificazione saremo liberi come esseri viventi.

Bene: è davvero così. Nel nostro corpo ci sono realmente due... intelligenze, potremmo definirle: una animale, meccanica, "bassa", egoica; una animica, viva, "alta", totale.

L'intelligenza animale, chiamiamola "natura bassa", si basa su pochi ed efficaci istinti: sopravvivenza e riproduzione. Da questa natura nascono tutte quelle emozioni e pensieri che normalmente definiamo come "negativi": paura, violenza, rabbia, tristezza, odio, bisogno di considerazione, invidia, inadeguatezza e non solo. Ma anche la pulsione sessuale, l'ossessività, il bisogno sempre di qualcosa o qualcuno per "essere felici".

L'intelligenza animica, chiamiamola "natura alta", invece è la fonte di tutto ciò che è positivo: amore, compassione, felicità, entusiasmo, allegria, altruismo, senso del servizio, innamoramento, gioia, comprensione e chi più ne ha più ne metta.

Ci siamo fin qui? No perchè, di solito, già entrare nell'ottica che forse non siamo esattamente come di norma ci percepiamo è una bella lotta contro un quercia con radici profondissime e contro un'enorme confusione interiore. Ok, ora: una volta fatta questa bella classificazione, che mi sta a significare?

Che c'è un'inculata. In sostanza è un discorso di attenzione e, come conseguenza, di identificazione. Nel corso della nostra vita abbiamo dato sempre più attenzione alla "natura bassa". Il risultato è che questa si è in un certo senso avvinghiata a noi, ha preso la nostra forma e ci guida costantemente attraverso i suoi loop, i suoi cicli fatti di azioni ripetute sempre uguali fra loro. Ti insulto? Ti insulto la madre? Tu ti incazzi e mi prendi a vangate nelle palle. Lo fa un altro? Tu ti incazzi e lo prendi a vangate nelle palle. Vedi una bella donna? Ti parte l'embolo. Ne vedi un'altra? Ti parte l'embolo.

Attenzione: non dico che sia sbagliato (perchè non lo è). Dico solo che è meccanico, automatico. L'animale, che ragiona in termini di sopravvivenza (attacco-difesa) e riproduzione della specie, è così. Punto. L'inculata è che non ci accorgiamo di cosa accade nel momento in cui accade, e quindi lasciamo che sia l'abitudine dell'animale ad agire al posto nostro. "Ma come? Come fa ad agire l'animale? Sono io che agisco". No! È questa l'inculata! È credere di essere presenti quando in realtà non lo siamo. "Perdonali perchè non sanno quello che fanno", diceva giustamente qualcuno. Crediamo che incazzarci quando ci insultano sia l'unica via disponibile perchè l'animale ha sempre fatto così. L'animale si sente minacciato e quindi, per istinto di sopravvivenza (sul quale l'influenza sociale ha costruito mille castelli di idee e abitudini), reagisce rizzando il pelo. Il che va bene, è il suo lavoro.

Ma chi l'ha detto che bisogna sempre seguire la rabbia? Nessuno. È questo il bello. E c'è un trucco per capirlo in prima persona: accorgersi. Nelle piccole noie quotidiane, quando si sente crescere la tristezza, la rabbia o quello che è, anche solo il fastidio, tac! Bisogna accorgersene, essere presenti. "Da dove viene questa cosa? Perchè provo fastidio? Chi è che lo sta provando, qual è l'origine?". E occhio perchè non è tanto un lavoro psicologico: è proprio un esercizio di presenza. È rendersi conto davvero qui e ora, non andare a cercare il trauma dell'infanzia di un padre che ci prendeva a cinghiate tenendoci la testa nel water subito dopo averci cagato dentro. È proprio un: "ora, adesso, questa emozione, questa sensazione... da dove viene?"

Allora, piano piano, accade un piccolo miracolo. Ci si rende conto che moltissimi dei nostri pensieri e giudizi hanno lavorato in automatico per anni e provenivano da un'intelligenza che non siamo noi. Si crea lentamente una sorta di spazio e sorge una sottile ma quantomai tangibile consapevolezza: l'animale è altro da noi. Noi non siamo l'intelligenza animale: siamo quell'altro, quella che prima ho chiamato "intelligenza animica", "natura alta". Più che un'intelligenza, c'è un altro termine che aiuta a definirla meglio: è una volontà. L'animale, l'intelligenza biologica, in sè, non ha volontà: reagisce agli stimoli esterni in maniera meccanica. Non è che vuole agire in un certo modo: è che non può fare altrimenti. "Esegue degli ordini", per così dire.

La volontà, invece, è un qualcosa di vivo, di intuitivo. La volontà agisce, perchè è l'unica parte realmente viva in noi. La volontà è l'essere, è quella parte che muove, che "sposta le montagne". Per rendersi conto, ci vuole volontà. Bisogna volerlo. Ci vuole una "abitudine volontaria", cioè una sorta di disciplina, di metodo, per cui ci mettiamo fisso in testa e nel corpo e in ogni dove di accorgerci di quello che facciamo e pensiamo; di osservare il motivo, l'origine del nostro comportamento. Perchè, al 99%, è una reazione meccanica, morta. Di sicuro lo è quando viene dall'animale. Quindi ogni volta che c'è rabbia, paura eccetera, ma anche solo lamentarsi, quello è al mille per mille l'animale. NON SIAMO NOI. Viceversa, ogni volta che c'è amore, gioia, innamoramento eccetera, eccoci lì! Quello che facciamo, e che abbiamo fatto per anni e anni, migliaia di giorni e fantastiliardi di secondi, è dare talmente tanta attenzione alla natura bassa da finire per credere di essere lei.

Quello spazio, quella separazione fra la nostra consapevolezza e la natura bassa, è scomparso, o forse non l'abbiamo mai avuto da quando siamo nati qui, da quando siamo "scesi nel corpo". Ciò non significa, però, che non possa esserci. Cominciando ad accorgersi (ovvero diventando consapevoli, ovvero osservando), lentamente, un pezzettino alla volta si crea spontaneamente questo spazio, un'intercapedine fra noi e l'animale. Con il tempo e la perseveranza l'animale avrà sempre meno potere di portarci dove vuole lui perchè questo potere glielo abbiamo dato noi e ora ce lo stiamo riprendendo. Lo abbiamo delegato a ruolo di guida senza nemmeno rendercene conto. La volontà si è sempre più ritirata e la natura, che in qualche modo deve perpetuarsi, ha predisposto un "sistema guida d'emergenza" che però non ha le capacità necessarie per fare un buon lavoro sul lungo periodo. E difatti, dopo un po' di tempo così, la gente obiettivamente non capisce più un cazzo ed è il regno della confusione.

Gesù, in Pistis Sophia, lo chiamava "spirito d'opposizione", che viene assegnato all'anima, ne prende la forma e la porta a commettere i suoi peccati, sigillandoli a lei così che poi, se essa non capirà i "misteri della luce" diventando libera, verrà giudicata colpevole e sarà costretta a tornare nel caos del corpo in un'altra incarnazione. E ancora e ancora e ancora e ancora e ancora...

Volontà. "Questa che provo è rabbia. Non è più giustificabile. Questo non sono io". "Mi sto lamentando. Non è più giustificabile. Questo non sono io". Che ne so, invento... Ci sono mille modi per razionalizzare una presa di coscienza. E non crediate che basti accorgersi una volta di essersi appena arrabbiati per trascendere la rabbia: è un processo molto più lungo, fatto di piccoli passi su piccoli passi. D'altronde qui si parla di abbattere un mondo intero e pensare di poterlo fare con una sola picconata è quantomeno da ingenui.

Lo sforzo è solo ed esclusivamente una questione di volontà: quello che sorge dopo viene da sè, senza che noi dobbiamo fare la minima fatica di immaginare chissà cosa. Bisogna solo dare il colpo alla prima tessera del domino. Poi la vita sa cosa fare. Sempre.

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