Ho letto un articolo interessante su LuogoComune.net inerente la manipolazione mentale per mezzo dei film hollywoodiani, nel quale si sostiene che questi, al pari della televisione, della musica eccetera, vengano utilizzati volontariamente dai soliti noti “capi della baracca” per influenzare la nostra percezione del mondo e le nostre idee. E’ un bell’articolo, scritto bene e, nonostante non dica nulla di particolarmente innovativo, è un piccolo e utile bignami sull’argomento. Mi permetto, però, di ampliare un po’ il discorso.
Per influenzare/manipolare la percezione di chiunque basta molto poco: una qualsiasi immagine, una qualsiasi canzone o semplice suono, un qualsiasi fatto a cui assistiamo nella nostra vita quotidiana; le parole di un nostro amico, di un estraneo, o le mille raccomandazioni dei nostri famigliari, i mille dogmi culturali e religiosi. Insomma, s’è capito no? Praticamente ogni avvenimento, in senso lato, che contempla la nostra “partecipazione”, attiva-neutra-passiva che sia, ha un effetto psicologico su di noi, non ci son cazzi. Il motivo? Ma è il solito, diamine! Non abbiamo contatto con la realtà. Non siamo consapevoli di noi stessi. Siamo sempre nel mondo, dalla mente in su (o in giù, come volete). Siamo identificati con un milione di cose, persone, idee, concetti, credenze e quant’altro. E’ sempre questo il problema, mi dispiace essere ripetitivo.
Un’idea. Cos’è un’idea? E’ una… “cosa”, un’entità a sè stante, esistente, energetica. E fin qui nulla di male. Ma quando noi basiamo (parte) della nostra identità su di essa? Immaginate di stare camminando per strada e di vedere molti pali della luce, tanti bei lampioni metallici. Su quella strada ci passate sempre, anche più volte al giorno. Non vi passerebbe mai neanche per l’anticamera del cervello di identificarvi con quei pali, giusto? Cioè, se un giorno bazzicaste di lì e notaste che hanno levato uno dei pali, mica vi sentireste morire un po’? O sbaglio? Sarete mica scemi! Benissimo, perfetto. Ora sostituite “palo” con “idea”. Ops… Improvvisamente le cose cambiano, eh? Se per esempio la vostra vita vi ha portato a ritenervi simpatici e tutto d’un tratto scopriste di non esserlo per niente? Magari una o più persone vi fanno notare quanto siete stronzi, e magari queste persone sono pure a voi molto vicine. Non vi sentireste morire un po’? Eppure non è cambiato niente: la strada è sempre lì, è stato solo tolto un palo.
Capite cosa intendo? Continuiamo a identificarci con delle “entità” altre da noi. Le idee sono delle “cose”, solo che non possiamo materialmente toccarle o vederle, ma sono comunque “oggetti” e, in quanto tali, esterni a noi, diversi da noi. Un palo è un palo: non confondiamo noi stessi con un palo. Un’idea è un’idea, punto. Eppure diciamo sempre che “l’abbiamo pensata noi”, ad esempio, e ci attacchiamo ad essa. Ok, va bene, facciamo così: sì, è vero l’abbiamo pensata noi, l’abbiamo realizzata noi. Quindi? Che differenza fa? Per dire, quando andiamo in bagno e realizziamo un bel “dirigibile marrone senza elica e timone” [cit.] non leghiamo ad esso parte della nostra identità, nonostante sia effettivamente un nostro prodotto. Quello è quello e io sono io: siamo due entità diverse. Con le idee non facciamo così.
Ah, tra parentesi: con “idea” intendo un po’ di tutto, dal semplice pensiero superficiale alle profonde convinzioni, che possono essere le più vere dell’universo ma che ci imprigionano nel momento in cui le “facciamo nostre”, nel senso di definirci tramite esse. “Sono un ateo” non è migliore che dire “sono cristiano”, anche se da qualche anno ti rende decisamente più figo agli occhi di qualche intellettualoide illuso e boccalone, tronfio della sua presunta libertà dal sistema. No, sbagli comunque: non sei un cazzo, mettitelo in testa, sentitelo nelle vene e in ogni fibra del corpo che ti ritrovi ad abitare. Nessuna idea può definirti, nessun concetto può contenerti e il motivo è presto detto. Ci sono due facce della medaglia (d’altronde siamo sempre in un universo duale):
1) tu non esisti, non sei niente. Il problema della definizione di sè, evidentemente, non si pone, dato che manca proprio il soggetto della definizione;
2) tu sei tutto. Idem come sopra: se il soggetto è tutto… come si fa a dire che è “questo” ma non “quest’altro”? In sostanza il soggetto sparisce, perchè non c’è più la separazione soggetto/oggetto.
Finchè facciamo come continuiamo imperterriti a fare rimarremo sempre a metà strada: siamo “qualcosa” e non anche “il resto”. Ecco perchè siamo divisi, arresi nel dualismo, assuefatti al normale livello di percezione di noi e dell’universo, della vita (son tutti la stessa cosa: conosciuto uno, conosciuti tutti). I casi sono due: o ci rendiamo conto di non essere niente, o di essere tutto (è la stessa cosa). E’ il prossimo step della nostra evoluzione. Gli altri animali non hanno una piena autoconsapevolezza come ce l’abbiamo noi: seguono più che altro gli istinti e la macchina biologica. Noi partiamo, almeno teoricamente, con questa consapevolezza già acquisita ma poi siamo talmente bacati in testa da rischiare di bloccarci qui e stop, ignorando la possibilità di un’ulteriore espansione percettiva fino virtualmente all’infinito.
E il tutto “judgement free”, eh: non intendo includere il benchè minimo giudizio in tutto il discorso. E’ una semplice costatazione, come dire “il cielo è blu” (sì, lo so: soggettività, e “come fai a esserne sicuro?” e torroni vari… Semplifichiamo un po’, che dite? Se no non se ne esce…). Il fatto di rimanere a metà strada non è male in sè, non c’è nulla di “male in sè”, il male assoluto è una vaccata di proporzioni universali. Se davvero esistesse, non sarebbe possibile alcuna esperienza: la realtà “odierebbe” sè stessa al punto tale da non potersi nemmeno manifestare a nessun livello. E direi che non è questo il caso. Anche le diverse “prove” negative della vita sono negative solo superficialmente, mai intrinsecamente. Se passi un momento in cui stai male non è perchè la vita “è una merda e ti fa stare solo di merda”: stai di merda perchè evidentemente devi stare di merda fino al momento giusto nel quale capisci che ti stai dannando l’anima per niente.
La realtà di questa vibrazione nella quale siamo immersi è dualistica, ovvero: c’è un’energia, un continuum, che va da un polo all’altro (negativo-positivo, dentro-fuori eccetera). Ma l’energia è una sola, cambiano solo le polarità. Tutta l’energia non è “il male assoluto” ma il suo opposto, il “bene assoluto”: la realtà “ama” sè stessa e rende possibile un numero infinito di manifestazioni di sè, da tanto “si vuole bene”. Ergo, ogni esperienza, anche quella più maledettamente negativa, è intrinsecamente positiva, votata all’espansione di consapevolezza, alla realizzazione di più o meno grandi verità, quei momenti in cui improvvisamente si accende la lampadina.
Una delle più grandi lampadine che si possano accendere è quello della consapevolezza massima di sè. A quel punto non ci si farà più tirare dalle idee, volatili come poche altre cose nel mondo e mutevoli in ogni istante (infatti siamo tutti isterici), ma troveremo il nostro “centro di gravità permanente” che non ci farà “mai cambiare idea sulle cose e sulla gente”. Ma di cosa pensate che stesse parlando il buon Battiato?! Di Newton in trip?! Disidentificazione, consapevolezza. Siam sempre lì.
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