16 settembre 2012

Consumismo spirituale – parte II

Da qualche mese, come avrete notato, l’argomento preminente di questo blog è la spiritualità e lo è per un motivo molto semplice: essendo questo un sito curato da una sola persona, vivente fuori dal freddo mondo cibernetico dei computer e di Internet, dotata di una mente e di un corpo dalle fattezze umane, codesta stessa persona attraversa diversi periodi, nei quali si interessa di diversi temi in diversi modi, gustandosi caramelle dai vari gusti, masticando quelle buone per più tempo e gettando con ribrezzo le più schifose. Capitano caramelle sorprendentemente buone, altre, che in passato non avevano propriamente entusiasmato, diventano improvvisamente succose e altre ancora seguono il percorso inverso, ovvero dal sapore meravigliosamente assuefacente delle prime volte si ritrovano col passare dei giorni e dei mesi a causare una discreta dose di vomito verde-senape.

Così, mi scuso con tutti coloro i quali cerchino famelici informazioni economico-finanziarie-geopolitiche, ma queste caramelle, al momento, sono scadute e mi provocano tanto dolore di stomaco e forti indigestioni risolvibili solo tramite ricorso ad una liquida e prorompente diarrea.

Tutte queste celestiali metafore solo per dirvi che la mia scimmia per l’argomento “spiritualità”  è in ascesa e siccome è di questo che mi va di parlare, è proprio di questo che parlerò, gne gne gne.

Che poi tra l’altro il fulcro del discorso odierno è piuttosto elementare e riassumibile billhicksianamente con “fate ciò che volete, Dio vi ama sempre e comunque”. Ripeto ancora, per l’ennesima volta: quando uso il termine Dio non lo intendo in senso antropomorfizzato come un essere che vive sulle nuvole o dove cazzo lo volete immaginare, quanto piuttosto al concetto di infinito ed eterno vivente che sottende e rende esistente tutto ciò che è, ok? Ok. Non vorrei mica passare per pazzo…

Mesi e mesi, direi anche più di un anno come minimo, tempo ed energie spese dietro ad un’idea (non l’unica, ecco, ma una delle più importanti): fare esperienza diretta di Dio, in un certo senso raggiungerlo, leggendo e tentando varie vie, cercando di capire, di vedere sempre di più e sempre meglio, tentando di superare la mente (perchè se no col cazzo che ci arrivi), tenendo un comportamento positivo perchè quello negativo non va bene, eccetera eccetera eccetera. Per capire cosa? Che non serve a niente. O meglio, serve per arrivare a capire che non serve. Tutto questo nasce da una deficienza di fondo, direi quasi preliminare, ovvero che sia necessario dire/fare/baciare qualcosa e non qualcos’altro, altrimenti si crea una barriera tra te e Dio (!!!) e buonanotte: sei nella pupù.

E’ una presa per il culo. Innanzitutto, fare esperienza diretta di tutto l’infinito, qui, è impossibile: per quanto possa essere espansa la percezione della realtà, essa (la realtà) è per definizione inconoscibile nella sua totalità, dato che questa totalità non ha fine e quindi manco un inizio. Dunque qualsiasi percezione è limitata, ergo in un certo senso illusoria, in quanto non-infinita. Secondo: “noi” e “infinito” sono intrinsecamente sinonimi, dato che tutto è Esistenza, tutto è Essere, tutto è e quindi anche noi siamo. E’ una bella unità nell’eterno stato infinito dell’Essere. Tutto il resto deriva da questo “è”, e lo si può capire anche nel linguaggio di tutti i giorni: quella è un’auto, quell’altro è un tavolo, questo è uno schermo e via dicendo. “E’” rappresenta l’eterno infinito, mentre quello che viene dopo è la specificazione relativa dello stadio assoluto dell’Essere, dell’”è”. L’”è” raffigura la Realtà, i complementi oggetti una sua immagine visibile, relativa.

Se riuscite a capire questo, avete capito praticamente tutto e riuscirete finalmente a rendervi conto che non bisogna fare nulla per “stare con Dio”, per raggiungerlo, in quanto non c’è una distanza, una separazione tra noi e l’essere, un buco da colmare con qualche strumento/atteggiamento particolare. Ma voi come fate a stare qua? E ciò che vedete attorno, come fa a stare qua? E’. Punto.

Noi, e mi includo fortemente anch’io, abbiamo tutti l’idea che Dio debba manifestarcisi in una qualche maniera, diversa per ognuno, e ci perdiamo in questo gioco di immaginazione al punto da sentirci impreparati/indegni/separati dall’Esistenza, dall’è. Prendiamo per buona l’idea fondamentale che Dio si nasconda da noi e che noi, dopo aver contato fino a 666, ci muoviamo per ritrovarlo seguendo svariate linee guida considerate “giuste” ed evitandone altre definite come “sbagliate”. Stronzate. Chiunque si chieda dove sia Dio (l’infinito) o chiunque faccia una qualche cosa perchè così lo potrà sperimentare, ha una mancanza di consapevolezza: ogni pensiero, ogni parola, ogni azione è in Dio, è nell’infinito. Come sarebbe possibile pensare, se no? E parlare? Vedere? Percepire? Come sarebbe possibile il Tutto se manca l’essere, se non ci fosse l’”è”? Quando guardi un rotolo di carta igienica, cosa pensi che sia ciò che lo rende possibile? Sorvola sulla cilindrica e bianca forma fisica che percepisci, in quanto estremamente relativa (un daltonico potrebbe contestarti che quel rotolo non è bianco ma verde: chi ha ragione? Un cane, se fosse parlante tipo Pippo, ti direbbe che è bidimensionale: come puoi dimostrare con la certezza più assoluta dell’assoluto stesso che tu hai ragione e il cane è un pirla?) e vai un pelo più in profondità: brava/o, hai “trovato” l’infinito.

Tutto il resto è esperienza. Sia l’ateo che il Cristiano, che la persona spirituale “fai da te” sono. Questo è l’unico requisito per poter esperire Dio, l’infinito. Dopodichè questo stato basilare dell’essere si può sperimentare in moltissimi modi diversi (infiniti, per la precisione): ci si può convincere che seguendo un certo tipo di comportamento si otterrà un certo tipo di esperienza meravigliosa, oppure che ciò porterà ad una espansione di consapevolezza che ci permetterà di “sentire” meglio le “parole” dell’essenza. E ci si può anche effettivamente riuscire, su questo non c’è il minimo dubbio. Le possibilità sono letteralmente infinite. Ma una persona che abbia raggiunto una certa “vetta” di consapevolezza non è assolutissimamente più vicina a Dio rispetto agli altri. L’espressione “avvicinarsi a Dio” dovrebbe essere intesa solo come un modo per spiegare a parole in maniera comprensibile ciò che sembra essere l’esperienza qui, nel campo del relativo, dell’apparente separazione. Ma poi basta: non deve essere preso in maniera troppo letterale perchè altrimenti si perde di vista la questione e si commette di nuovo quell’errore di fondo (barriera tra noi e Dio) che poi va a sputtanare tutto il resto.

L’esperienza in sè e per sè non avvicina nè allontana di un nano-millimetro noi a Dio, all’essenza: permette semplicemente di percepire questa essenza in diversi (infiniti) modi, “para-normali” inclusi. Non ci si può allontanare dall’essere, altrimenti cosa si diventa, non-essere? Ma anche il non-essere esiste, no? Quindi anche il non-essere… è. Tra noi e l’essenza non c’è la minima distanza, siamo la stessa cosa, altrimenti o non esisteremmo noi o non esisterebbe il resto. Per questo “tutto è uno”: perchè tutto è.

Come si può esprimere a parole… Proviamo, ma non attaccatevi troppo letteralmente alle frasi, altrimenti andrete fuori strada. L’esperienza si muove all’interno di un oceano infinito di possibilità, tutte le quali rese possibili da una sorta di forza permanente senza inizio nè fine. Questa forza è indistinguibile, onnipresente in un eterno e costante attimo e sottende letteralmente tutto ciò che è, permettendo alle esperienze di manifestarsi e di poterle vivere. Tutto è questa energia, questa intelligenza. Ciò che vediamo, sentiamo e tocchiamo è una manifestazione di queste onde, che vengono interpretate da altre onde (il cervello). State guardando una porta, ok? Quello che accade è che delle onde di energia hanno una certa frequenza (porta): queste onde vengono “interpretate” da altre onde (cervello), e questa interazione genera la fortissima sensazione di avere una persona con lo sguardo rivolto verso una cosiddetta porta, di un certo materiale, di un certo colore e di una certa densità. Ma è un gioco di frequenze, non molto dissimile dal comportamento di una radio.

E le onde? Questo oceano energetico nel quale siamo immersi? E’ anch’esso una manifestazione, resa possibile dall’essere. La gabola è che ci impantaniamo con la materia convincendosi che sia La realtà, mentre è solo una rappresentazione frutto di una sorta di auto-interazione dell’esistenza stessa. Per questo non c’è un “là fuori” diverso dal “qui dentro”: se tu starnutisci, in un certo senso l’intera esistenza starnutisce con te.

Chi raggiunge la cosiddetta “illuminazione” non sta sperimentando Dio in maniera superiore rispetto agli altri. Non è l’intensità/vicinanza che aumenta, bensì è solo un modo diverso di esperire ciò che è. Un modo migliore? Sì, può essere. Secondo me lo è, ma non mi attacco ossessivamente a questo giudizio, non più almeno, perchè porta aspettative e una frustrazione dovuta al fatto di non sentire ciò che arbitrariamente pensiamo sia necessario sentire. In pratica, siamo noi a immaginare un tipo di esperienza chiamata “illuminazione”, così dal nulla in maniera totalmente arbitraria, e poi ci incazziamo perchè questa immagine dell’esperienza, inventata di sana pianta, non si verifica. Arrivi a capire che non c’è nulla da “illuminare”, perchè già è tutto illuminato. Cerchi, cerchi e cerchi per arrivare a capire che non c’è nulla da cercare, poichè così si intenderebbe una separazione tra ciò che è e ciò che non è, separazione ovviamente inesistente.

Qualsiasi persona/istituzione/essere vivente/vampiro/klingon vi dica con la massima convinzione che voi, con i vostri comportamenti o pensieri o parole, siete inadeguati per Dio, vi sta dicendo un mucchio di balle: se così realmente fosse, quegli stessi comportamenti o pensieri o parole non esisterebbero nemmeno e il problema non si porrebbe. Ci sono dei modi che permettono di modificare la percezione dell’esistenza, di incrementarla anche, ma non è che seguendo quei metodi allora siete più degni di “incontrare” Dio: è solo la percezione, che è relativa, a cambiare, non voi nè tantomeno l’essere (sinonimi, ricordate). E’ effettivamente vero che una mente silenziosa facilita la comprensione della realtà, ma una mente rumorosa non è meno utile e di sicuro non è “sbagliata”.

Sia che siamo in pace, sia che siamo nervosi, insicuri, frustrati, depressi, infuriati col mondo, noi siamo. Una persona imperiosamente furibonda non si sta “allontanando” dall’essenza, non è “indegna”, non sta “sbagliando”: in quel momento è rabbiosa.  L’unica cosa saggia da fare è vivere queste esperienze, semplicemente, senza appiccicarsi troppo ai giudizi che, il 99% delle volte, sono pesantemente condizionati e frutto dell’ambiente esterno. Se provate a risalire al motivo per cui giudicate una qualche cosa “giusta” o “brutta” o chissà, dovrete scorrere indietro nel tempo fino magari ad arrivare al punto di dire “non lo so” perchè eravate troppo piccoli per ricordare l’evento-zero.

“Ma noi ci appiccichiamo ai giudizi”. E allora appiccichiamoci! Viviamo semplicemente l’esperienza dell’appiccicarsi ai giudizi. Non è un errore, non ci allontana dall’essenza. Può al massimo allontanarci da un tipo di percezione più profonda dell’essere, ma non dall’essere stesso: dalla nostra percezione di esso. Ma la percezione fa parte dell’esperienza, è anch’essa resa possibile soltanto perchè c’è l’Essere, ciò che tutto è. La percezione non è Reale: è limitata, per quanto grande e profonda possa essere, ha un inizio e una fine. Tutto ciò che è limitato, che comincia e quindi poi finisce, altro non è che una rappresentazione dell’essere, il quale la sottende e rende possibile.

Tutto qua. Spero che il discorso sia abbastanza chiaro. Ce l’ho messa tutta per trovare le parole che più possono avvicinarsi a ciò che è, ma come ho già detto un paio di volte nel testo, non attaccatevi troppo alle parole e non rimuginateci sopra eccessivamente, altrimenti correte il rischio di fraintendere, quando di non capire, la faccenda. Il che, comunque, non è sbagliato…

2 commenti:

Unknown ha detto...

Fa piacere trovare ogni tanto una boccata di ossigeno tra i discorsi "complotto/catastrofisti" (vogliamo chiamarli così?) economici e finanziari.
Giuro che anche a me ultimamente viene la nausea e allora stacco tutto e vado a farmi una bella chiacchierata con Osho, Ramana e Jiddu.

E' difficile vero trovare le parole?
Tanto quanto non essere fraintesi...

Mi piace tanto capitare qua.
Un saluto.

Mattia ha detto...

Un saluto anche a te, Regina ;-)