Nell’ultimo post avevo scritto la storiella dell’uomo ricco e dell’indigeno con l’invito a non prenderla razionalmente attaccandosi alle parole ma cercando di andare oltre e provare a comprenderla veramente. Oggi vi metto nero su bianco cosa intendessi dire dietro la metafora. Scoprirete presto, però, che anche scritto così non riuscirete a capirlo con la mente superficiale perchè pure questo sarà una semplice rappresentazione, un’immagine non effettivamente vera ma “verosimile” con il solo scopo di scuotervi qualcosa dentro.
Breve richiamo a due articoli precedenti. Nel primo parlavo della differenza tra un vivo e un morto: non può essere strettamente fisica perchè anatomicamente un cadavere è identico a una persona viva, eppure evidentemente al morto manca qualcosa, ovvero la vita, in sostanza noi. Il secondo è l’ormai canonico post sulla mia seconda esperienza di espansione di consapevolezza: per la prima volta mi sono reso conto di non aver (quasi) mai vissuto effettivamente un momento della mia vita e finalmente riuscivo a essere consapevole di me, della mia presenza e a vivere consapevolmente ogni istante, provando un immenso amore incondizionato verso tutto e tutti, sentendo una profondità d’essere incredibile e una vibrazione leggera, sottile, veloce. (Tra l’altro mi è sovvenuto alla mente solo adesso che queste due esperienze che ho avuto il privilegio di vivere sono praticamente identiche a quella di cui parla Bill Hicks, solo più lunga delle sue 4 ore e senza funghi allucinogeni. Sei veramente un grande, Bill. Riesci a darmi ancora spunti dopo più di quattro anni. Grazie)
L’evoluzione intuitiva di questi due articoli è la seguente (e, di nuovo, non attaccatevi troppo alle parole). Noi, il ricco signore della metafora, veniamo da una vibrazione altissima, estremamente “veloce”, con una frequenza infinitamente superiore a qualsiasi scala di Hz possiamo avere. Da lì siamo “scesi” (o forse abbiamo deciso di scendere) a questo livello di vibrazione, siamo arrivati in questa ristretta fascia di frequenze per poterla vivere in prima persona. Ma lo scopo sarebbe irrealizzabile senza uno strumento “del posto”, ovvero senza un corpo e una mente appartenenti a questo (basso) livello vibrazionale. In pratica senza l’indigeno. Se non ci fossero la mente e il corpo, infatti, nella nostra “discesa” non riusciremmo a “fermarci” e passeremmo dritti dritti attraverso questo piano, esattamente come un’onda radio passa attraverso i muri. Una volta entrati in un corpo abbiamo subito un “inconveniente”. Solo di nome, poi, perchè in realtà è tutto minuziosamente e perfettamente pensato e disegnato: non riusciamo a ricordarci nè chi/cosa siamo nè da dove veniamo. Perchè? Vediamo se riesco a farvi capire. Immaginate di avere un’onda radio a una frequenza altissima, estremamente veloce, e una invece molto bassa, lenta. In un tempo di, che ne so, 5 secondi, quale delle due avrà comunicato più informazioni? Ovviamente quella più veloce, mentre con l’altra avremo una perdita di informazione e servirà del tempo per colmarla.
Ecco, analogamente, nella nostra “discesa” vibrazionale ci siamo lasciati dietro delle informazioni sottoforma di consapevolezza. Per poterci adattare alla lentezza di questo livello, ed evitare di attraversarlo senza quindi poterci interagire, abbiamo dovuto rinunciare a parte della nostra consapevolezza riguardo noi stessi e, come conseguenza diretta, di tutto il resto.
Se già tutto ciò non risuonasse come divina poesia, ora arriva la parte più positiva. Dopo esserci “sacrificati” per venire al mondo (non “nati”, ma “venuti al mondo”) attraversiamo un periodo di “adattamento” al per noi bassissimo livello vibrazionale attuale, nel quale la nostra vibrazione e quella del mondo circostante entrano in armonia e si fondono. Ecco l’indigeno che svolge il suo compito: permetterci di integrarci e di interagire col resto del mondo, fino a che le vibrazioni non si armonizzano. Da questo punto in poi può avvenire la risalita della nostra vibrazione senza abbandonare il corpo nè la vibrazione di questo mondo: possiamo ritornare perfettamente consapevoli di noi stessi e di tutto il resto senza, però, attraversare questo mondo tipo fantasmi, ma rimanendone stabilmente dentro. Ci sono sempre il corpo e la mente, che sono strettamente figli di questa frequenza e solo di questa: ci accolgono e ci aiutano ad ambientarci, come l’indigeno col ricco. Ritornare perfettamente consapevoli di noi, ovvero ri-alzando la nostra vibrazione, è esattamente ciò che rappresenta, nei Vangeli, Gesù Cristo: Gesù è l’uomo, il figlio di questo mondo, l’indigeno, il contenitore; Cristo è la massima consapevolezza, figlia di Dio, trascendente questo livello vibrazionale (mondo) e tutti gli altri in quanto loro stessa generatrice. Quando l’uomo/indigeno/animale/ego/mente+corpo ha svolto il suo compito di accoglierci e farci ambientare vibrazionalmente, lo crocifiggiamo, lo “uccidiamo” ma con gratitudine in quanto perfettamente consapevoli del compito da “lui” svolto e della sua ormai sopraggiunta inutilità. Con la “morte” dell’ego, può emergere pienamente la nostra essenza, l’essenza divina, quella non figlia del mondo ma bensì trascendente.
O almeno dovrebbe andare così se, quando fossimo piccoli, qualcuno provasse anche solo ad accennarci certe cose invece di riempirci di interpretazioni superficiali di nozioni, al contrario, estremamente profonde. Non c’è determinismo, nel mondo, ma diciamo che almeno una prima infarinatura di comprensione di questi argomenti quando si è piccoli non guasterebbe affatto. Per come siamo messi effettivamente, però, le cose ci sono state rese più complicate perchè, se non si ha la fortuna di avere anche solo un piccolo tarlo nel cervello che ci suggerisce la falsità di quanto ci viene detto su di noi e sul mondo, restiamo freschi e ce ne andiamo da qui avendo compreso ben poco di quanto avevamo dentro e intorno. Fin da quando siamo piccoli, infatti, ci ritroviamo circondati da una marea di persone molto superficiali nelle loro conoscenze che ci imbottiscono della loro superficialità, convincendoci che sia invece tutto ciò che c’è da sapere. Familiari, parenti e amici ovviamente lo fanno in buona fede, non con cattiveria e bastardaggine come invece fanno quelli più in alto nella piramide.
Oggi ci ritroviamo, in questa società, con il grande scontro tra scienza e religione. Uno scontro apparente, poi, perchè entrambe parlano delle stesse cose usando parole diverse. La grande differenza è che la scienza è molto superficiale, in quanto non spiega l’effettivo funzionamento delle cose e il loro perchè ma si limita a descrivere come si manifestano (ne avevo già parlato); la religione, invece, è molto profonda e, logicamente, in un mondo popolato di superficialità può la religione essere davvero capita bene? Ovviamente no e infatti ci ritroviamo, ad esempio, con la Chiesa e il mare di sterco che lancia in ogni dove sottoforma di un’interpretazione del messaggio di Gesù e del concetto di Dio da far come minimo rabbrividire. La scienza, invece, ha successo proprio perchè rispecchia la nostra superficialità, la nostra scarsa consapevolezza, il nostro attaccamento alla mente superficiale (all’indigeno). Ci piace proprio per questo: è facile da capire, non richiede sbattimenti particolari. Lanci un oggetto per aria? Guarda che poi c’è una roba chiamata “forza di gravità” che lo riporta giù. Facile. Prova a spiegare concetti spirituali, più profondi, in modo da aiutare gli altri a comprenderli: mica facile, eh. Guardare e pensare è molto più semplice che sentire (dentro, non con le orecchie) e comprendere.
Quando, per esempio, ci dicono che “Gesù è morto in croce per togliere il peccato dal mondo” cosa significa? Non l’ho mai capito in anni e anni, perchè cercavo di capire un concetto non di questo mondo con uno strumento, invece, prettamente figlio di esso e dunque, in quanto tale, molto limitato e irrimediabilmente ignorante verso certe cose. Cercavo di capire con la mente, invece di comprendere. Il mondo siamo noi, Gesù (non il Cristo, solo Gesù) è l’uomo/animale/indigeno/ego/mente+corpo che “muore” per eliminare alla radice proprio colui che pecca e i suoi peccati insieme a lui. E’ la disidentificazione nostra dall’ego, la consapevolezza della nostra essenza e di come non appartenga a questo mondo. Ma la si deve sentire dentro, questa disidentificazione, altrimenti sono solo parole di auto-convincimento. Bisogna, guarda un po’, esserne consapevoli, ovvero comprenderla. Per favorire la comprensione sarebbe importante superare il giudizio e il continuo giudicare. Bisogna disidentificarsi col giudizio e, paradossalmente, il modo migliore per farlo è proprio comprendendolo, ovvero… non giudicandolo. Non giudicare il giudicare: spettacolo… Se c’è giudizio, non c’è comprensione; se c’è comprensione, non c’è giudizio. E’ proprio quando giudichiamo che ci fermiamo un gradino prima della vera comprensione: non capiamo bene una determinata cosa e allora la riponiamo nel mega-cassetto del “buono” o in quello del “cattivo”, del “bello” o del “brutto” e via dicendo. L’avevo già scritto: quando guardate un albero non state effettivamente guardando quello specifico albero ma solo un esemplare qualsiasi della categoria mentale “albero” e, in questo modo, vi state perdendo la sua irripetibile unicità. Idem quando vedete un fiore: lo guardate e tac! scatta subito il giudizio. “Cavolo, bello!”. No non è bello, e non è nemmeno brutto: è quello che è, punto. Nel momento stesso in cui parte il giudice nella mente avete già perso la comprensione e, per voi, quel fiore è diventato soltanto un “bel” fiore come ce ne sono milioni nel mondo. Anzi, alcuni sono anche più belli.
Quando sparisce il giudizio (ovvero nel momento in cui ne diventiamo consapevoli, ovvero nell’attimo in cui ce ne disidentifichiamo) il fiore non è più nè bello nè brutto: è unico, non ce n’è un altro uguale in tutto l’universo. E questa comprensione dell’unicità delle cose tutte porta automaticamente un senso di bellezza assoluta, non dualistica, non contrapposta a null’altro. Non è un “bello” opposto a un “brutto”: c’è solo e soltanto un “bello” assoluto. Qualcuno, usando un vocabolario diverso, lo chiama “amore incondizionato” o “amore di Dio”.
Ma qui stiamo già andando troppo avanti. La risalita si fa un gradino alla volta, mica tutta insieme (salvo botte di f… ehm… di culo). Che poi “risalita” non in senso proprio, non attaccatevi alle parole e alle idee che ne avete a riguardo. E’ un andare in profondità, nelle nostre viscere interiori, nel nucleo, nel centro del nostro mondo. Più siamo consapevoli della nostra profondità, più siamo vicini al momento creatore; più guardiamo all’esterno, più siamo lontani, “lenti”, “superficiali”. Ricordate: “a Sua immagine e somiglianza”, un frattale (religione e scienza parlano delle stesse cose!). Prendiamo il nostro pianeta, ma solo come uno tra millemila esempi. Dov’è il nucleo? E’ dentro o fuori? Ma anche il Big Bang è un’esplosione, dal nucleo originario centrale verso l’esterno, dalla profondità alla superficie. Le analogie sono tutte intorno a noi, se le si sanno osservare. Se ne siamo consapevoli. Se le comprendiamo…
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