Non so esattamente il perchè, ma mi è venuta in mente la parabola del seminatore. Così, ad minchiam. Allora sono andato a rileggermela e, per pura curiosità, ho pensato di cercare come essa venga spiegata da quella massa di scribi e farisei appartenenti all'istituzione impropriamente chiamata Chiesa. Non che una qualunque spiegazione sia necessaria, dato che, come potete leggere qui sotto, il messaggio è piuttosto chiaro, bello, tondo, pulito, semplice. Forse fin troppo semplice... E a certa gente le cose semplici non piacciono, devono complicarle, arzigogolarle con un oceano liquido di minchiate partorite dalle loro menti deviate nel corso dei decenni della loro vita.
Ecco il testo della parabola. È presente in tutti e 3 i vangeli sinottici, ma ho preso la versione di Marco perchè è quella un filo più completa.
Ma vediamo come ne parla, e su cosa si focalizza, l'Avvenire. Cioè, voglio dire: stiamo parlando della Conferenza Episcopale Italiana. Mica cotica. Naturalmente io ho preso solo un esempio perchè mi preme evidenziare una criticità, che non si riferisce strettamente alle parole ma a un tipo di mentalità e di sentire.
Il testo integrale dell'intervento lo trovate a questa pagina: qui io riporto solo degli estratti, se no diventa 'na mattonata terrificante. Già il post è lungo (e vi chiedo perdono) perchè, se la parabola non richiede chissà quali spiegazioni, le vaccate interpretative sono tante e mastodontiche. Se mettessi pure il testo intero non finiamo più...
L'inizio della predica è già molto indicativo del disagio mentale insito in chi dovrebbe diffondere il messaggio e aiutare a capirlo:
Certo che sì. E infatti, dopo qualche divagazione a sostegno dell'idea di incapacità di un contadino che spreca i semi gettandoli pure sul cemento, arriva uno dei punti nodali della predica:
Perfetto. Visto? Alla fine della fiera quell'introduzione frutto di una mente petulante e "imparata" a perdersi su dettagli secondari ha prodotto comunque qualcosa di buono (anche se il don di sicuro non la intende proprio così, tutta la storia degli "stati dell'essere"...).
Due righe dopo, il disastro.
Una di queste è la convinzione che Dio (o Gesù, scegliete voi... Tanto è sbagliata l'interpretazione di base, quindi...) "predilige i terreni più difficili e impervi". Ma non sta scritto da nessuna parte, Gesù non dice così nella parabola. Anzi, quello che risulta chiaro come il sole dalla parabola del seminatore è il fatto che il seminatore è assolutamente imparziale. I semi cadono "in parti" sui vari terreni: una sulla strada, una sul terreno roccioso, una fra i rovi e alcune sulla terra buona. A ben vedere, al limite è sulla terra buona che cadono non "una" ma "alcune parti": quindi al massimo, a voler tirare il concetto, Dio prediligerebbe le persone che "capiscono bene la Sua parola", non quelli che la ignorano. Ma noi sappiamo bene che Dio non predilige un cazzo di nessuno, essendo Dio la vita nella sua essenza e, va da sè, essendo insita in ognuno di noi... in quanto vivi.
Per non farsi mancare niente, il don collega poi i terreni difficili (cioè il livello più basso di consapevolezza, quindi appartenente alla sfera interiore, chiamiamola "spirituale" per comodità) con i poveri, gli ultimi, quelli delle "periferie esistenziali" eccetera (ovvero un concetto appartenente alla sfera sociale/socio-economica)... Devo veramente stare qui a scrivere il motivo per cui questo pezzo di retorica è una minchiata? Dai andiamo avanti, va, che il bello vero arriva adesso...
C'è infatti un'altra parte della parabola che è massacrante, una bomba atomica caricata all'ennesima potenza, un grave scandalo, questa sì, per i "benpensanti" o "chi si ritiene d'essere, sempre e comunque, un 'terreno buono'". La riporto:
Capite la portata distruttiva di un'affermazione simile? Riporta clamorosamente la responsabilità in mano alla persona. Quello che fa la differenza è l'individuo, non la vita/Dio. La vita è lì, in costante manifestazione, perfetta, imparziale, ineffabile, disponibile per tutti: è il singolo che può arrivare a percepirla appieno. Tutti possono "essere perdonati": non tutti lo sono, o lo saranno, effettivamente. Quello che ha scritto il don, e che tanti "chiesaroli" pensano e di cui cercano di convincersi (sempre perchè è più rassicurante convincersi di essere chissà chi piuttosto che capire di essere, al momento, delle merde) è niente popò di meno che una bestemmia, un "nominare il nome di Dio invano". Altrochè affiancare il nome di Dio a un suino o al migliore amico dell'uomo...
È troppo comodo vivere nell'inconsapevolezza più totale "tanto qualsiasi cosa faccia poi Dio mi perdona". Sei tu che devi cominciare a ripulirti della marea di stronzate che ti hanno messo in testa. Sei tu che devi cominciare ad accorgerti che ti hanno inculato e continuano a incularti senza nemmeno la delicatezza di usare la vaselina. Se sei "sulla strada" e lì rimani... lì rimani, punto. Leggerai la parabola e non la capirai; vedrai e non saprai discernere; ascolterai e non comprenderai; non ti "convertirai" e i tuoi "peccati" non ti saranno "perdonati". È semplice, sensato, intelligente. Se non sai fare 2+2, o ti metti sotto e studi o tu, 2+2, non lo saprai mai fare. È così difficile da capire? Non mi sembra.
Eppure, a quanto pare, per tanti (troppi) è ai limiti dell'impossibile. Capite lo stato mentale malato da cui emergono questi e milioni di altri abomini? Voglio dire, basta un'occhiata distratta alla società in cui viviamo: è lo specchio, il riflesso di qualcosa che è andato e sta andando leggermente male nella testa e, prima ancora, nel sentire delle persone.
Alcuni hanno interesse affinchè la responsabilità personale venga sempre e comunque delegata a qualcun'altro o a qualcos'altro; altri assorbono i concetti come vengono loro ripetuti, senza elaborarli, senza farli loro, senza comprenderli. In entrambi i casi il risultato non può che essere uno e uno solo: una vita inconsapevole, da zombie col bisogno di mangiare e scopare, senza porsi uno straccio di domanda o dandosi frettolosamente la risposta che il mondo circostante ha creato e trapanato nella testa. Alla faccia del pensiero critico...
Ma sentiamo ancora il don. Poi non rompo più, promesso. Ecco un bell'esempio per mettere in evidenza come le parole (per natura neutre) acquistano o perdono di sostanza in base a chi le pronuncia:
Ecco il testo della parabola. È presente in tutti e 3 i vangeli sinottici, ma ho preso la versione di Marco perchè è quella un filo più completa.
Marco 4, 1-20
[1] Gesù si mise di nuovo a insegnare presso il mare. Una gran folla si radunò intorno a lui. Perciò egli, montato su una barca, vi sedette stando in mare, mentre tutta la folla era a terra sulla riva. [2] Egli insegnava loro molte cose in parabole, e diceva loro nel suo insegnamento: [3] «Ascoltate: il seminatore uscì a seminare. [4] Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli vennero e lo mangiarono. [5] Un'altra cadde in un suolo roccioso dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; [6] ma quando il sole si levò, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. [7] Un'altra cadde fra le spine; le spine crebbero e la soffocarono, ed essa non fece frutto. [8] Altre parti caddero nella buona terra; portarono frutto, che venne su e crebbe, e giunsero a dare il trenta, il sessanta e il cento per uno». [9] Poi disse: «Chi ha orecchi per udire oda». [10] Quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. [11] Egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole, affinché: [12] "Vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non comprendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati"».Concordate con me, sul fatto che ci sia ben poco da spiegare? Qualcosa c'è, eh... Qualcosa che forse sfugge, a una lettura veloce, qualcosa sul quale di primo acchito si tende un po' a sorvolare...
[13] Poi disse loro: «Non capite questa parabola? Come comprenderete tutte le altre parabole? [14] Il seminatore semina la parola. [15] Quelli che sono lungo la strada, sono coloro nei quali è seminata la parola; e quando l'hanno udita, subito viene Satana e porta via la parola seminata in loro. [16] E così quelli che ricevono il seme in luoghi rocciosi sono coloro che, quando odono la parola, la ricevono subito con gioia; [17] ma non hanno in sé radice e sono di corta durata; poi, quando vengono tribolazione e persecuzione a causa della parola, sono subito sviati. [18] E altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine; cioè coloro che hanno udito la parola; [19] poi gli impegni mondani, l'inganno delle ricchezze, l'avidità delle altre cose, penetrati in loro, soffocano la parola, che così riesce infruttuosa. [20] Quelli poi che hanno ricevuto il seme in buona terra sono coloro che odono la parola e l'accolgono e fruttano il trenta, il sessanta e il cento per uno».
Ma vediamo come ne parla, e su cosa si focalizza, l'Avvenire. Cioè, voglio dire: stiamo parlando della Conferenza Episcopale Italiana. Mica cotica. Naturalmente io ho preso solo un esempio perchè mi preme evidenziare una criticità, che non si riferisce strettamente alle parole ma a un tipo di mentalità e di sentire.
Il testo integrale dell'intervento lo trovate a questa pagina: qui io riporto solo degli estratti, se no diventa 'na mattonata terrificante. Già il post è lungo (e vi chiedo perdono) perchè, se la parabola non richiede chissà quali spiegazioni, le vaccate interpretative sono tante e mastodontiche. Se mettessi pure il testo intero non finiamo più...
L'inizio della predica è già molto indicativo del disagio mentale insito in chi dovrebbe diffondere il messaggio e aiutare a capirlo:
"A un primo impatto, l’impressione che si ha leggendo la parabola del seminatore (Lc 8, 5-8.11 15), è che siamo di fronte a un contadino quanto meno sprovveduto e poco accorto, che non conosce il proprio mestiere. Getta il seme a caso, sprecando in abbondanza un bene prezioso e mettendo a rischio il buon esito del raccolto."Cioè... È una cavolata, ovviamente. Non metto in discussione l'osservazione in sè e per sè, che ci può pure stare: quello su cui vorrei portare l'attenzione è lo stato mentale da cui, dopo aver letto e (teoricamente) provato a comprendere la parabola, può sorgere una riflessione su un simile aspetto. Pensate a quanto ingarbugliate devono essere le sinapsi dell'autore di questa predica, don Antonio Sciortino: di tutto il significato del messaggio, lui è riuscito a tirare fuori una considerazione su un aspetto totalmente trascurabile e sul quale, penso, nessuno si è mai soffermato (specialmente a una prima lettura, "a un primo impatto") e a cui nessuno può fregare di meno. Però, però, dai: è soltanto un'osservazione giusto per cominciare. Poi più avanti arriverà il punto di svolta e si capirà meglio il motivo di un inizio simile.
Certo che sì. E infatti, dopo qualche divagazione a sostegno dell'idea di incapacità di un contadino che spreca i semi gettandoli pure sul cemento, arriva uno dei punti nodali della predica:
"Quel che è stoltezza per gli uomini, è saggezza agli occhi di Dio. Non possiamo immaginare che Gesù sia uno 'sprovveduto seminatore', che spreca il seme gettandolo ovunque, a caso. Luca vuol farci capire subito che nel regno di Dio non c’è preclusione per nessuno. Nessuno è discriminato perché il suo terreno è sassoso o pieno di spine. Il cristianesimo non è un club esclusivo per eletti e santi, tanto meno una 'setta' per pochi adepti. La salvezza di Dio è universale. La 'buona novella' è per tutti, per i buoni e i cattivi."Ottimo. Nulla da obiettare. Quando una persona, invece di rimanere intrappolata nella meccanicità di schemi mentali e modi sentire beceri, arbitrari, superficiali ("gli uccelli che mangiano i semi", o "Satana che li porta via", tutto ciò che va a comporre l'ego, lo spirito d'opposizione, il dia-volo ovvero "colui che divide"), inizia invece a intuire che c'è qualcosa che non quadra, che c'è qualcosa di diverso in merito a sè stesso, passa dall'essere "sulla strada" all'essere "in un suolo roccioso". Mano a mano che la persona riesce a far emergere questo stato dell'essere, fino a quel momento nascosto, il suo terreno cambia ed arriva piano piano, con un duro lavoro su di sè, a stabilizzarsi sempre di più sulla "buona terra", cioè quello stato in cui la "parola", ovvero l'essenza di sè, della vita, dell'Uno, dell'universo, di Dio eccetera eccetera, è manifesta, tangibile, meravigliosamente preponderante. I terreni di cui si parla sono stati dell'essere, che ognuno di noi sperimenta o può sperimentare e fra i quali oscilla, o può oscillare, in ogni minimo istante.
Perfetto. Visto? Alla fine della fiera quell'introduzione frutto di una mente petulante e "imparata" a perdersi su dettagli secondari ha prodotto comunque qualcosa di buono (anche se il don di sicuro non la intende proprio così, tutta la storia degli "stati dell'essere"...).
Due righe dopo, il disastro.
"Gesù intende seminare dappertutto, non si lascia guidare da criteri umani di opportunità ed efficienza. Semmai, contro ogni consuetudine, predilige i terreni più difficili e impervi, quelli all’apparenza improduttivi e ai margini, che nessuno prende in considerazione. Con grave scandalo dei benpensanti o di chi si ritiene d’essere, sempre e comunque, un «terreno buono». I poveri, gli ultimi, gli 'scarti di umanità' delle periferie esistenziali sono i prediletti, al centro della sua attenzione."La solita, trita e ritrita, retorica per consolare i più materialmente sfortunati e lavarsi la coscienza. Troppo comodo. Tutto nasce dall'aver preso dei concetti stupendi e averli stuprati con interpretazioni assurde, fino a costruire un intero schema mentale definibile con un bel tecnicismo: "troiata". L'idea di base che Dio sia un essere vivente posto là fuori, da qualche parte, è la "troiata originale": le altre vengono di conseguenza.
Una di queste è la convinzione che Dio (o Gesù, scegliete voi... Tanto è sbagliata l'interpretazione di base, quindi...) "predilige i terreni più difficili e impervi". Ma non sta scritto da nessuna parte, Gesù non dice così nella parabola. Anzi, quello che risulta chiaro come il sole dalla parabola del seminatore è il fatto che il seminatore è assolutamente imparziale. I semi cadono "in parti" sui vari terreni: una sulla strada, una sul terreno roccioso, una fra i rovi e alcune sulla terra buona. A ben vedere, al limite è sulla terra buona che cadono non "una" ma "alcune parti": quindi al massimo, a voler tirare il concetto, Dio prediligerebbe le persone che "capiscono bene la Sua parola", non quelli che la ignorano. Ma noi sappiamo bene che Dio non predilige un cazzo di nessuno, essendo Dio la vita nella sua essenza e, va da sè, essendo insita in ognuno di noi... in quanto vivi.
Per non farsi mancare niente, il don collega poi i terreni difficili (cioè il livello più basso di consapevolezza, quindi appartenente alla sfera interiore, chiamiamola "spirituale" per comodità) con i poveri, gli ultimi, quelli delle "periferie esistenziali" eccetera (ovvero un concetto appartenente alla sfera sociale/socio-economica)... Devo veramente stare qui a scrivere il motivo per cui questo pezzo di retorica è una minchiata? Dai andiamo avanti, va, che il bello vero arriva adesso...
C'è infatti un'altra parte della parabola che è massacrante, una bomba atomica caricata all'ennesima potenza, un grave scandalo, questa sì, per i "benpensanti" o "chi si ritiene d'essere, sempre e comunque, un 'terreno buono'". La riporto:
[10] Quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. [11] Egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole, affinché: [12] "Vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non comprendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati"».BOOM! La sentite, l'esplosione? Se è vero che Dio è disposto a perdonare tutti... non tutti meritano di essere perdonati. Ovvero: se è vero che tutti hanno la possibilità di giungere a percepire (ed essere) l'essenza di sè/vita (passando, tra le altre fasi, dal perdono si sè), non tutti ci arrivano.
Capite la portata distruttiva di un'affermazione simile? Riporta clamorosamente la responsabilità in mano alla persona. Quello che fa la differenza è l'individuo, non la vita/Dio. La vita è lì, in costante manifestazione, perfetta, imparziale, ineffabile, disponibile per tutti: è il singolo che può arrivare a percepirla appieno. Tutti possono "essere perdonati": non tutti lo sono, o lo saranno, effettivamente. Quello che ha scritto il don, e che tanti "chiesaroli" pensano e di cui cercano di convincersi (sempre perchè è più rassicurante convincersi di essere chissà chi piuttosto che capire di essere, al momento, delle merde) è niente popò di meno che una bestemmia, un "nominare il nome di Dio invano". Altrochè affiancare il nome di Dio a un suino o al migliore amico dell'uomo...
È troppo comodo vivere nell'inconsapevolezza più totale "tanto qualsiasi cosa faccia poi Dio mi perdona". Sei tu che devi cominciare a ripulirti della marea di stronzate che ti hanno messo in testa. Sei tu che devi cominciare ad accorgerti che ti hanno inculato e continuano a incularti senza nemmeno la delicatezza di usare la vaselina. Se sei "sulla strada" e lì rimani... lì rimani, punto. Leggerai la parabola e non la capirai; vedrai e non saprai discernere; ascolterai e non comprenderai; non ti "convertirai" e i tuoi "peccati" non ti saranno "perdonati". È semplice, sensato, intelligente. Se non sai fare 2+2, o ti metti sotto e studi o tu, 2+2, non lo saprai mai fare. È così difficile da capire? Non mi sembra.
Eppure, a quanto pare, per tanti (troppi) è ai limiti dell'impossibile. Capite lo stato mentale malato da cui emergono questi e milioni di altri abomini? Voglio dire, basta un'occhiata distratta alla società in cui viviamo: è lo specchio, il riflesso di qualcosa che è andato e sta andando leggermente male nella testa e, prima ancora, nel sentire delle persone.
Alcuni hanno interesse affinchè la responsabilità personale venga sempre e comunque delegata a qualcun'altro o a qualcos'altro; altri assorbono i concetti come vengono loro ripetuti, senza elaborarli, senza farli loro, senza comprenderli. In entrambi i casi il risultato non può che essere uno e uno solo: una vita inconsapevole, da zombie col bisogno di mangiare e scopare, senza porsi uno straccio di domanda o dandosi frettolosamente la risposta che il mondo circostante ha creato e trapanato nella testa. Alla faccia del pensiero critico...
Ma sentiamo ancora il don. Poi non rompo più, promesso. Ecco un bell'esempio per mettere in evidenza come le parole (per natura neutre) acquistano o perdono di sostanza in base a chi le pronuncia:
"Gesù, spargendo il seme dappertutto, non intende distinguere né giudicare i diversi terreni [detto da uno che, due righe prima, parlava della "predilezione di Dio verso i terreni più difficili e impervi". Capite la confusione?]. [...] Con Dio nessuno ha l’esclusiva del terreno buono, nessuno può rivendicarne il monopolio [?]. Anche se continui sono i tentativi di manipolare e strumentalizzare la religione per altri fini e scopi [sic!]. O a vantaggio di interessi particolari, inclusi quelli economici e politici [sic!]. Al suo cospetto non ci sono privilegiati o esclusi per sempre, perché in ogni essere umano coesistono sassi, spine e terra buona. La parabola del seminatore appare così chiara che non avrebbe bisogno di commenti. Ma se Gesù (o la Chiesa primitiva, non importa) [beh, un po' importerebbe...] ha voluto darne l’interpretazione, è perché c’è qualcosa di più profondo, che sfugge all’apparenza."Cioè, cosa? Dai dai dai, fremo dalla curiosità (tra parentesi, a differenza del pezzo appena citato, nel quale le parole potevano anche starci se interpretate bene, da qui in poi è quasi tutto un delirio).
"Luca [io ho preso la versione di Marco, lui Luca, ma cambia niente] ne fa una 'chiave di lettura' non solo del Vangelo, ma della vita stessa della Chiesa. Con un duplice scopo: primo, indicare quale deve essere l’atteggiamento dei discepoli nell’ascolto della Parola; secondo, spiegare che, nonostante gli apparenti fallimenti di Gesù e gli insuccessi della prima comunità dei cristiani [?], il buon esito della parola di Dio è garantito. Luca ci dà un messaggio di speranza e ottimismo."Di "prendersi la responsabilità della propria condizione e mettersi sotto a lavorare di brutto su di sè" no, eh...
1 commento:
Bell'articolo :D sei tornato mattia.. è sempre un piacere leggere i tuoi articoli, aiuta a rimanere sani di mente.
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