Illùdere v. tr. [dal lat. illudĕre «deridere, farsi beffe», comp. di in-1 e ludĕre «scherzare»] […]
a. Ingannare, attrarre a sé o suscitare vane speranze presentandosi con falso aspetto, oppure facendo apparire le cose migliori di ciò che sono in realtà o più rispondenti al desiderio e alle attese […]
b. rifl. Ingannarsi, concepire vane speranze, soprattutto per una inesatta e troppo ottimistica valutazione di fatti, cose o persone […] Part. pass. illuṡo, anche come agg. e sost.
Diṡillùdere v. tr. [comp. di dis-1 e illudere, coniato su disillusione] (coniug. come illudere). – Togliere dall’illusione, disingannare: era pieno di fiducia nella vita, ma la realtà lo ha presto disilluso; nel rifl., perdere un’illusione o le illusioni: speravo molto da lui, ma mi sono disilluso. Part. pass. diṡilluṡo, anche come agg., disingannato, che ha perduto ogni illusione: essere, mostrarsi disilluso; l’ho trovato stanco e disilluso dalla vita.
Queste sono le definizioni del vocabolario della Treccani. Perchè ho scelto questi due concetti? Semplice: perchè sono un palese riflesso del rincoglionimento generale e della grande, maestosa e imperante confusione mentale nel mondo.
Ma usciamo un po’ dai vocabolari ed entriamo di più nella nostra realtà. Chi è l’illuso, per noi? E’ un tizio, o una tizia, pieno di tante idee belle ma false, o quantomeno ingenue. La realtà, per l’illuso, è migliore di quanto non appaia, ne è convinto e se ne auto-convince. Gli parlate di “amore” e l’illuso si dipinge un’immagine paradisiaca fatta di un sentimento vero e incrollabile di fronte alle difficoltà, superiore a qualsivoglia capriccio ed egoismo, cardine unico di una vita degna di tale nome.
Chi è il disilluso? E’ un tizio, o una tizia, il quale ha perso le illusioni, vede la realtà per quella che è per la maggioranza delle persone, ha dei tratti di realismo empirico e ci aggiunge una sfumatura amara, una connotazione negativa, tenendo comunque come base il realismo. E’ un realista scoraggiato, diciamo, ma realista di base. Per lui il termine “amore” richiama un’idea di compagnia temporanea, un’esperienza di forte potenza iniziale ma destinata a scemare nel tempo e diventare routine, fino alla semplice sopportazione (nei casi migliori) o fino alla rottura totale del rapporto.
L’illuso viene percepito come un cretino, in pratica, uno che si auto-inganna per fuggire la realtà; il disilluso, invece, ha vissuto sulla sua pelle la realtà ed è sì vero che tende un po’ troppo alla negatività e alla semplificazione, ma ha sicuramente più ragione, oltre che più merito, di quel pirla dell’illuso. Il disilluso è un realista. Tendente a toni sconfortati, ma realista.
C’ho preso? E’ così, più o meno, o sbaglio? Ed ecco quanto siamo rincoglioniti. Il disilluso non è un realista: è uno che si guarda intorno con occhi impauriti, vede tendenzialmente solo il lato negativo della faccenda, ci si focalizza sopra e semplifica mostruosamente il mondo e la vita, arrivando a conclusioni generali basate su un numero limitato di esperienze personali e/o di chi lo circonda. E’ uno che pensa di avere capito come funziona la baracca e non ha più bisogno di ulteriori spiegazioni/pareri: ha il vissuto, dalla sua. “La realtà è questa e nient’altro”. Siccome succedono delle cose a un certo numero (sempre limitato) di persone, allora è così per tutti. Il disilluso è uno che si è arreso. Non è un realista. Segue la corrente, si lascia trascinare, non si domanda più nulla. E’ un masochista: si auto-infligge una visione cupa della vita e ci si rifugia dentro, non mostra segni particolari di volerne uscire. Non è un disingannato, anzi: accontentandosi di portare il suo punto di vista al livello medio delle persone intorno a lui, si sta ingannando da solo. Il disilluso rimane scottato dalla vita; allora si focalizza sulle esperienze simili alla sua, vissute da altri; ne raccoglie un certo numero, mettendo la sua in testa, e si convince di avere capito come funziona. Si adegua al livello medio di vita, al livello medio di comprensione dei concetti riguardanti la vita. E questo livello medio è basso. Molto basso. Per cui si auto-limita in maniera molto, ma molto pesante.
L’illuso, al contrario, è un sognatore. Non si accontenta delle spiegazioni del livello medio, ma cerca in tutti i modi di andare oltre. Se anche uno o più dei suoi castelli in aria dovessero essere spazzati via, non c’è problema: ci sbatte la testa, si fa male, ma poi riparte. La realtà al livello medio non è soddisfacente, non ha senso, non lo sazia. “Deve esserci di più”. Si pone domande e cerca incessantemente risposte. Ne trova magari mille sbagliate e una giusta alla volta, ma quell’unica risposta giusta è il segno e lo stimolo per continuare. E’ un investigatore, sempre aperto a nuove spiegazioni/pareri. Il suo vissuto, e quello di chi lo circonda, per quanto possa essere negativo e “brutale”, non può rappresentare la totalità della realtà. L’illuso sì che è un realista. Non ci sono limiti, per lui. Non fugge la realtà, anzi: prova a capirla.
Ma noi no, non è così che li percepiamo normalmente. Il disilluso, pur avendo una connotazione negativa, è più pragmatico e perciò più “affidabile” del povero illuso. Non ha capito un cazzo, perchè il livello medio di comprensione della vita è questo, eppure ci si adegua, si arrende, smette di farsi domande e assurge sè stesso a ruolo di “saggio”. E nonostante questa condizione di miseria, viene percepito come “migliore” di chi, invece, cerca di dare un senso alla questione “che cazzo è ‘sta roba che stiamo vivendo?”. Capite quanto siamo rincoglioniti? C’è un’inversione di significato: l’arreso è etichettato come “realista”, “disingannato” per cui più vicino alla realtà delle cose (anche se più sul versante negativo), l’investigatore/ricercatore è un idiota con la testa tra le nuvole, pieno di cagate e in fuga dalla realtà.
Cioè, provate a chiedere a un realista, pardòn: un disilluso, chi è e che cosa fa qui. Fategli domande un po’ più profonde di “come va?” o “allora, il lavoro?” e guardate cosa ne viene fuori. Oppure, se avete la fortuna di avere contatti frequenti con uno/una disilluso/a, provate a capire qual è la sua immagine del mondo tramite quello che dice normalmente e come si comporta. Non ha senso. L’immagine che ne esce è di smarrimento e confusione. C’è molto nichilismo e caos. L’illuso non è detto abbia sempre ragione, anzi, però cazzo almeno prova a mettere un po’ di ordine. Non mette le mani in alto di fronte alla vita così, alla prima difficoltà, e non accetta la “versione ufficiale” sulla realtà perchè non la ritiene adeguata alla realtà stessa.
Ecco cosa si perde il disilluso. Si perde il sentimento interiore di essere un’estensione, o manifestazione, diretta del Creatore inteso come “infinito” o “tutto ciò che è”. Si perde la comprensione dell’intrinseca bontà e meraviglia della realtà tutta. Si perde il senso di tutto, ovvero: ognuno di noi (inteso come l’unico e solo Creatore) decide il momento e il luogo nel quale avere un’esperienza individuale di incarnazione in un corpo, si pone dei forti limiti iniziali di consapevolezza e decide che, alla fine di quell’esperienza corporea, arriverà a un determinato livello di consapevolezza, ovviamente più alto di quello iniziale. Questo è il “destino” e, una volta incarnati, non ci si può fare più niente: a quel livello si arriva. Il libero arbitrio entra in gioco nell’incarnazione, nel mondo “materiale”, e va ad influenzare il come si arriva a quel livello: in base alle scelte compiute nell’esperienza, man mano gli eventi “si adattano”, cambiano per diventare il più perfetti possibile al fine di rendere consapevole l’incarnato.
Questa immagine può aiutare a capire cosa intendo.
Da creatori entriamo nell’esperienza nel punto di consapevolezza A e fissiamo l’obiettivo a B, più alto di A. Una volta dentro l’esperienza, diventiamo “osservatori partecipanti” e, per arrivare a B, abbiamo a disposizione una marea di scelte/percorsi. Nel disegno non ci sono, ma immaginate migliaia di righe di ogni forma all’interno del rombo che partono tutte da A, si disperdono in giro, e si riuniscono poi tutte in B. In base alle scelte che facciamo, cambiamo “percorso”, ma sempre continuando ad andare verso “l’alto”. La realtà si “adatta” e fornisce sempre e costantemente le perfette esperienze (il famoso “pane quotidiano”) per farci diventare sempre più consapevoli di essa. Ma a B ci si arriva di sicuro. P e N sono i limiti del mondo materiale, in questo caso le due polarità “positivo” e “negativo”: avremo quindi percorsi più tendenti al negativo e altri più al positivo, ma TUTTI portano a B. (Tra l’altro, se tirate le rette orizzontale e verticale per collegare A con B e P con N, non si forma mica una croce?) Nel momento in cui da creatori decidiamo di entrare in un’esperienza individuale, allo stesso modo fissiamo un livello finale di consapevolezza da raggiungere (è il Creatore, diamine, mica il primo pirletta in strada); una volta dentro l’esperienza, in un certo senso “smettiamo” di essere il Creatore in sè e per sè, dimentichiamo tutto e ci crogioliamo di ciò che è stato creato. Diventiamo dei “mandanti con procura”, “in nome e per conto” del Creatore. Qualsiasi, e ripeto, QUALSIASI scelta che prendiamo, nonchè qualsiasi, e ripeto, QUALSIASI evento col quale entriamo in contatto porta alla fine a B. Non si scappa, è una dittatura della consapevolezza. E’ tutto meravigliosamente auto-referenziale: il Creatore “parla” con sè stesso sempre e ovunque. Vi ricordate quell’ometto là, come si chiama… quello con la barba e i capelli lunghi, lì… dai! coso… ah sì: Gesù, ecco. Vi ricordate quando dice “Io sono tutto: da me tutto proviene, e in me tutto si compie. Tagliate un ciocco di legno; io sono lì. Sollevate la pietra, e mi troverete”? Ecco, è quella roba qua: nulla può essere qualcosa di diverso dal Creatore. Non ve la ricordavate, la citazione? Ovvio, è nel vangelo apocrifo di Tommaso, sapientemente escluso dal lotto dei canonici.
Possiamo allargare il discorso alle diverse incarnazioni e, in generale, al grande ciclo dell’esistenza. A è il livello più basso possibile di consapevolezza, B il più alto. P e N rappresentano i limiti dell’esistenza tutta, che è quasi infinita, tendente all’infinito… ma non è infinita perchè comunque, per manifestarsi, l’infinito deve porre almeno un limite, in qualche modo. Dall’assoluto deve passare al relativo. Piano piano, da A si risale verso B, passando per un numero indefinito di esperienze o incarnazioni. Ma a B ci si arriva di sicuro.
Libero arbitrio e destino finalmente riuniti, uno in armonia con l’altro. E’ pura poesia. Ogni contrapposizione è una semplice apparenza. Il negativo non è “contro” il positivo, così come il destino non è contro il libero arbitrio e viceversa: uno completa l’altro e l’unione dei poli permette l’emersione dell’Unità. Ma di questo ne ho già parlato…
Ecco, il realista amaro, altrimenti detto “disilluso”, e il realista “normale” difficilmente avranno il “coraggio” di staccare un attimo i piedi da terra per fare un piccolo salto nell’apparentemente impossibile o assurdo. A meno che non sia destino… L’illuso, invece, ce la può fare più tranquillamente. Prenderà delle tranvate clamorose, ma si divertirà nel farlo; si può dire che ci metterà “del suo”, tramite il libero arbitrio, per rendere più semplice la cosa e se la godrà maggiormente.
Capisc?
Nessun commento:
Posta un commento