16 agosto 2012

Lo sai cosa sei? Uno, nulla, tutto, infinito

one

Ci sono. Ho aggiunto un altro, enorme, tassellone al mio personale mosaico spirituale. E ho capito che non esiste.

Avete presente il post di settimana scorsa con delle citazioni sulla spiritualità, l’io e la realtà? Ecco, dal momento in cui le ho lette mi trovo in paradiso e l’impressione è che da qui non si torna indietro neanche a volerlo. E’ l’illusione ultima.

Per chi volesse approfondire, quelle citazioni sono tratte da “Il libro del risveglio” (qui in pdf), che è una raccolta di pensieri di filosofi, persone realizzate, poeti, scrittori, scienziati, studiosi e chi ne più ne ha più ne metta sui vari argomenti relativi alla realtà e all’esistenza. A mio avviso è un libro da leggere “a piccole dosi”, tipo una-massimo due pagine al giorno, in modo da evitare che la mente vada in sovraccarico e faccia più confusione di quanta (tanta) non ne faccia già. Parlo per esperienza ;-)

Ma non è questo il punto. Finalmente ho capito chi sono, chi siamo, cosa è l’esistenza, cosa è Dio e perchè scorreggiamo (una di queste affermazioni è falsa). E’ talmente semplice… Come ho già detto altre volte, purtroppo l’esistenza non è conoscibile tramite le parole, le quali possono solo indicarla: per cui ora leggerete tante belle cose e, se non mi manderete affanculo, vi piaceranno pure e vi sembrerà di capirle al 100%, ma finchè non ne fate esperienza diretta non le comprenderete mai al massimo. Ma questo vale un po’ per tutto, no? Quindi, lasciate che le parole indichino: prima o poi arriverà l’esperienza vera e propria e in ogni caso accadrà non un momento prima nè dopo il necessario.

I concetti di fede, “vivere qui e ora”, essere il testimone, ringraziare in ogni momento, sentire l’amore cosiddetto divino in ogni istante sono tutti sinonimi: sono diversi modi di esprimere lo stesso concetto, la stessa verità.

Vi faccio una domanda: voi cosa siete? Non è una domanda retorica: vi invito a rispondere. Analizzatevi: io cosa sono? Non datemi ora la risposta, comunque, non sarebbe assolutamente accurata. Guardatevi nel vostro quotidiano, cercate di seguire il pensiero primario, ovvero “io”, da cui discendono tutti gli altri pensieri, tutte le altre divisioni, tutte le altre percezioni ecc. Seguitelo, spingetelo fino all’estremo e una volta arrivati in fondo ditemi cosa trovate. Cosa ho trovato io? Nulla. Non c’è nulla. Io non esisto e l’io non esiste. Tutto ciò che pensate di essere, beh… non lo siete. Tutto ciò che comincia con “io” non esiste, in quanto si riferisce all’ego cioè alla mente. Non a voi: alla mente. D’altronde è scritto nella frase stessa: “sono ciò che penso di essere”. Come fai ad essere ciò che pensi? Al limite sei ciò che sei, non ciò che pensi di essere. Vedete come quel verbo, “pensare”, si frapponga tra noi e l’esistenza creando separazione tra le due cose? E’ di troppo, si vede che è di troppo. Già solo nella frase si capisce che è pesante, inutile se non controproducente. Figurarsi nell’esperienza quotidiana… E mica si dice anche “ma chi ti credi di essere?”. Stessa solfa.

Non appena mi sono reso conto di non esistere in quanto entità individuale, pensante e separata dal resto (in poche parole: in quanto ego), puf! I conflitti sono spariti, la frustrazione è sparita, l’insoddisfazione è sparita, così come le fregnacce mentali che essa generava; lo smarrimento è sparito, i rimpianti sono spariti, l’immagine mentale di me è sparita, il senso di separazione con il resto dell’esistenza è sparito, i giudizi sono spariti insieme ai pregiudizi; il tempo è sparito, lo spazio è sparito, la proprietà è sparita, il senso di impotenza è sparito, l’invidia è sparita. Molto altro è sparito ma ora non mi viene in mente e/o non me ne sono ancora accorto.

Nulla

Ciò che c’è ora è… l’Esistenza, con la “E” maiuscola. Il semplice fatto che tutto esiste rende questo tutto intrinsecamente la stessa cosa. Non essendoci nessun “io” separato ne consegue che l’esistenza è una cosa sola che vive ogni singolo istante, in un eterno presente. Ogni momento è, in un certo senso, giusto così. E’, semplicemente. Questo essere allo stato puro può essere percepito come pace, amore, armonia, bellezza, giustizia, perfezione, gioia, vita, ma non come concetti contrapposti ai loro contrari. La polarità positivo/negativo non esiste, nell’essenza: non c’è dualismo, non c’è quel continuum che va da un concetto al suo opposto. Anche l’imperfezione è perfezione; anche il caos è armonia; anche l’ingiustizia è giustizia; anche la bruttezza è bellezza; anche la morte è vita; anche il dolore è gioia; anche l’odio è amore; anche la confusione è pace.

Se in un momento state provando rabbia, è giusto che in quel momento proviate rabbia: non può essere diversamente, è il momento, è l’essenza, è la vita stessa. Voi siete quella vita, quel momento, quell’essenza. Tutto è, in ogni istante, in ogni luogo. Ogni singolo pensiero, ogni singola parola, ogni singolo movimento, ogni singolo oggetto esiste nel modo in cui esiste per un motivo: esistere. Punto. L’errore che commettiamo, e che evidentemente è giusto commettere, è il confondere il contenuto col contenitore: pensiamo di essere il contenuto, mentre in realtà siamo il contenitore. Crediamo di essere ciò di cui facciamo esperienza, ma non è così: noi siamo ed è grazie a questo stato che possiamo fare l’esperienza. Ma l’esperienza è un qualcosa che si fa, non che si è.

Da qui deriva naturalmente il “vivere qui e ora”, la fede, il ringraziare ogni istante, in ogni istante, per ogni istante di essenza eccetera. Non c’è altro: tutto il resto, ripeto, TUTTO il resto è esperienza e in quanto tale NON è l’Essenza, non è noi ma ciò che noi proviamo in quanto esistenza allo stato puro, in quanto vita.

Non essendoci nessun “io” separato dal resto, ne consegue che non esiste il mio volere, non esistono scelte, non esiste dialogo, non esistono punti di vista. Perchè? Perchè qui c’è una cosa sola: l’esistenza, l’essere. E’ l’unica intelligenza esistente, l’unico essere vivente, l’unico stato possibile. Il mio volere non è diverso dal suo perchè non c’è separazione; per poter scegliere è necessario ci siano più alternative, ma qui ce ne è una sola (vivere, essere); va da sè che per dialogare servono due interlocutori, ma qui ce n’è uno solo; così come uno è il punto di vista (essere, vivere). Il mio volere è anche il vostro; le mie scelte sono anche le vostre, e viceversa.

Non sto dicendo che non esista il mio volere in senso assoluto, o che non esistano scelte da prendere in senso assoluto: dico che queste “cose” sono soltanto esperienze e in quanto tali sono “figlie” dell’Essere, esistono solo perchè c’è un Esistenza che le rende possibili e qualsiasi scelta facciamo è giusta in senso assoluto, altrimenti ne prenderemmo un’altra. Ripeto: nel campo dell’Essenza non ci sono polarità e quindi “giustizia”, “amore”, “pace” si intendono in senso assoluto, apolare, non opposti a nulla. Voi non avete polarità, così come non ne ha l’Esistenza.

Perfino quando si dice “se pensi allora non sei, non stai vivendo il momento” in realtà il momento lo si sta vivendo benissimo, con tutta la giustizia, l’amore e la pace del caso: il pensare è un qualcosa che si fa, non che si è. Come è possibile che si riesca a pensare? Perchè c’è l’Esistenza che rende il pensare possibile. Chi ritiene che mentre pensa non sta vivendo è solo perchè si identifica nell’idea che, pensando, si frapponga un muro tra noi e… noi. In realtà non è così: la magagna è l’immergersi così tanto nei pensieri da non vedere nient’altro, nemmeno di essere. Ma non è che l’Essere sparisce: è sempre lì, altrimenti non ci sarebbero nemmeno i pensieri.

L’Esistenza sottende letteralmente tutto, è lì, silenziosa, eterna e onnipresente. Ora avete davanti uno schermo, giusto? Sullo schermo passano tante immagini, video, parole, icone, la freccia del mouse che si muove in ogni dove e tanto altro ancora. Perfetto: questa è l’esperienza. Ma come fa ad essere possibile? Perchè esiste uno schermo. E mentre l’esperienza inizia e finisce, cambia e si ripete allo stesso modo o con qualche modifica, lo schermo è sempre lì e, immobile ed immutabile, fa da cornice e da contenitore dell’esperienza, rendendola visibile (possibile). Ecco: l’Esistenza è lo schermo, voi siete lo schermo. Voi e “Esistenza” sono sinonimi: non ci siete voi e l’esistenza, non c’è differenza, non è possibile distinguere le due cose per il semplice fatto che non ce ne sono due ma solo e soltanto una. Vogliamo chiamarla Dio? No? Sì? Che differenza fa? I nomi sono creazioni mentali che rendono possibile il riconoscimento, solo che ci siamo spinti troppo oltre (in realtà è giusto che sia andata così) passando dal “nome” come una semplice etichetta per poterci riferire a ciò che abbiamo intorno, al “nome” come identità, come essere a sè stante. “Mattia” è soltanto una parola che le persone intorno a me usano per riferirsi ad una determinata faccia (da pirla), nulla più.

Tutto

Ora capisco quella citazione, che trovate nel post di settimana scorsa, dal vangelo di Tommaso:

Gesù diceva ai suoi apostoli:
A chi potete paragonarmi? Ditemi a chi assomiglio?
Simon Pietro gli disse: Assomigli ad un angelo giusto.
Matteo gli disse: Assomigli ad un saggio filosofo.
Tommaso gli disse: Maestro, la mia bocca non accetterebbe di dire a chi assomigli.
Gesù gli disse: Non sono più il tuo Maestro poiché hai bevuto e ti sei inebriato alla sorgente bollente donde io stesso sorgo...

Tommaso si rifiuta di nominare Dio."Di Dio si può dire solo quello che non è - e non ciò che è." (Tommaso d'Aquino) Di qui l'impiego di termini negativi per parlar di lui - Non-Creato, Innominabile, Ineffabile, ecc.

Subito dopo averla letta non l’ho capita. Ci sono voluti un paio di giorni… Non è possibile dire ciò che Dio è perchè sarebbe come definirlo, come dargli dei confini, una distinzione, come dire che è qualcosa e non qualcos’altro, mentre è tutto indistintamente. Indistinto, inseparato, infinito: tutti termini negativi. Per questo la mente, e il linguaggio che usa e comprende, non lo può spiegare: perchè è finita. Per questo motivo certe sensazioni bisogna provarle: perchè vengono e rimandano all’infinito, non al finito. La mente nasce qui, in questa realtà, quando noi veniamo al mondo e quando noi “ce ne andremo” essa morirà: è temporanea, come questa grande esperienza che chiamiamo “vita” e, proprio perchè temporanea, è illusoria, non Reale, “morta” come direbbe Gesù. Tutto ciò che ha un inizio, e dunque una fine, è farlocco ed è qui per passare sull’inscalfibile schermo dell’Esistenza.

Comunque sia, la “mia” mente non ha smesso di ciarlare, anche se apparentemente non ce ne sarebbe più bisogno. Ma non importa: evidentemente è giusto che farnetichi ancora e provi a “farmi cadere in tentazione”. La differenza rispetto a prima è che ora sono consapevole di essere lo schermo, il contenitore e non il contenuto. Consapevole di essere la consapevolezza stessa. Prima, invece, mi sforzavo di fermare la mente, mi opponevo all’esperienza “mente che parla e parla e parla”. Come ero ingenuo: non avevo capito che è proprio lottando che dai forza a ciò che vorresti sconfiggere. Sempre che di lotta si possa parlare, dato che è impossibile fare una guerra quando a combattere c’è un solo soldato: contro chi va?

Come si fa per rendersi conto dell’Esistenza e della conseguente inconsistenza dell’ego? Non si deve fare nulla, non si deve andare da nessuna parte: basta essere. Non ci sono tecniche particolari. Più volte ho provato la meditazione con la classica posizione del loto, focalizzando l’attenzione di qua e di là, e sul respiro e intorno al mio corpo e al menga, il tutto finalizzato a far tacere la mente cosicchè finalmente io potessi consapevolmente essere. In realtà focalizzare l’attenzione non serve a granchè, in quanto è uno sforzo di concentrazione su qualche cosa e non su tutto il resto, col risultato di limitare la propria percezione invece che espanderla all’infinito fino a farla sparire. Potete fare quello che volete, se vi va, o non fare nulla, non c’è IL modo definitivo. Può darsi che vi basti leggere una frase, oppure che stiate ad occhi chiusi sdraiati sul vostro letto o chissà cosa. Quando succede vi rendete conto di essere sempre stati l’Esistenza e null’altro; che non siete mai stati chi pensavate di essere, anche se ne eravate fermamente convinti; che l’Esistenza, e quindi voi, vi trovate in ogni luogo di ogni tempo, rendendo di fatto i concetti di “tempo” e “spazio” assolutamente insulsi; che “la morte? Cos’è la morte? Ma chi è mai nato?”; che ogni istante è l’unico esistente ed è grazie a questo eterno presente che i concetti di passato e futuro sono possibili; che in ogni istante ciò che accade è assolutamente giusto, perfetto, in perfetta armonia con tutto (e quindi con voi); che non c’è altro che pace, un caldo, indistinto e incondizionato amore assoluto.

infinito

Proprio per questo, vorrei dispensare infiniti ringraziamenti verso tutto e niente. Grazie per poter vivere questa esperienza; grazie per la famiglia che mi ritrovo; grazie per aver fatto solo una settimana di asilo, piena di insoddisfazione e della sensazione di essere completamente fuori posto al punto da stare male; grazie per il pianto disperato il primo giorno di scuola; grazie per avermi dato quegli amici; grazie per avermi reso un “ladruncolo” di biro e altri ammennicoli vari e per avermi poi fatto bruscamente smettere con uno sputtanamento pubblico; grazie per la prima, innocente e meravigliosa, cotta; grazie per l’attacco di panico durante l’orale dell’esame in 5° elementare; grazie per i nuovi amici e per i nuovi stronzi delle medie; grazie per i bellissimi anni delle superiori; grazie per non aver fatto la patente del motorino; grazie per essere stato a mia volta stronzo con qualcuno; grazie per essere stato generoso e gentile con la stragrande maggioranza degli altri; grazie per le sere in compagnia e per le tante sere a casa; grazie per la noia; grazie per la gioia; grazie per i due anni di depressione, ormai ampiamente svanita; grazie per i piccoli attimi di meraviglia; grazie per il piacere sessuale; grazie per i pensieri inutili; grazie per la musica, anche quella di merda; grazie per la paura, l’odio e la rabbia; grazie per avermi fatto innamorare di ragazze che non mi cagavano manco di striscio, con relativa frustrazione e senso di inadeguatezza; grazie per i veri amici attuali, pochi, molto pochi, e per gli altri che stanno in mia compagnia anche se non vorrebbero; grazie per chi fa la bella faccia davanti a me per poi sparlarmi dietro; grazie per le volte che non ho fatto qualcosa di cui mi sono poi pentito; grazie per aver fatto sparire ogni pentimento; grazie per le volte che ho fatto qualcosa di cui mi sono profondamente vergognato; grazie per aver fatto sparire ogni vergogna; grazie per le sorprese; grazie per Bill Hicks; grazie per ogni momento di profondo imbarazzo e per quelli di insanabile rassegnazione; grazie per la testardaggine; grazie per i Beatles, anche per Yoko; grazie per tutti i video che ho visto e per tutti gli articoli che ho letto; grazie per gli Illuminati; grazie per la verità e per la menzogna; grazie per Internet, la tv, la radio, i giornali, i fumetti; grazie per la guerra; grazie per la riconciliazione; grazie per la compassione. Grazie, insomma, per letteralmente TUTTO ciò che è stata la mia esperienza finora, che è ora e che sarà da qui in poi. Grazie per ogni singolo eterno istante e quello che esso porta. E grazie per tutto ciò che è stato l’universo dalla sua nascita e che sarà fino alla morte e alla nascita di quello seguente e via così. Potrei andare avanti per ore e non nascondo che su qualcuno di questi “grazie” la mente abbia sussultato un attimo. Ma chi se ne frega: mica sono io…

Per provare a capirne un po’ di più, se volete fate così: nella vostra vita quotidiana, non appena ve ne rendete conto chiedetevi chi è che sta pensando ciò che state pensando, chi è che sta facendo ciò che state facendo, in poche parole: che cosa siete? Chi c’è qui? E’ un metodo chiamato self-enquiry, ovvero auto-indagine, utilizzato e diffuso dal Sri Ramana Maharshi a fine ‘800-inizio ‘900. Ci sono arrivato tramite uno dei nomi presenti nelle varie citazioni di settimana scorsa, ovvero Poonja. La “mia scoperta” della self-enquiry, comunque, è stata successiva alla presa di consapevolezza di cui sopra, ma è sicuramente il miglior modo che abbia visto finora per divenire consapevoli:

1) che l’ego e tutte le sue fantasie non rappresentano ciò che siamo e ciò che è;
2) che qui c’è un solo essere, dal quale discendono tutte le esperienze (in primis quella della nascita);
3) che quell’essere è (anche) noi, senza alcuna separazione: è lo stato fondamentale dell’Esistenza, è esso stesso l’Esistenza;
4) che l’unica vera Realtà è proprio questo essere, questo vivere, eterno, infinito: tutto il resto è “solo” una sua creazione, un’esperienza resa possibile da esso;
5) che noi siamo già cosiddetti illuminati, maestri di noi stessi, proprio per il semplice fatto che esistiamo.

Sapete qual è l’ironia, per me? Che io ripudiavo alacremente la famosa figura di Dio come pastore e noi come sue pecorelle, perchè non ritenevo giusto dover seguire gli ordini e le parole di un tizio che manco sapevo chi cazzo era. Se uno ti dice di buttarti in un burrone, tu ti butti? Più o meno la faccenda era questa. Tra tutte le immagini religiose, questa era con tutta probabilità quella che mi stava di più sulle palle. Ovviamente derivava da una visione antropomorfizzata di Dio come signore con la barba bianca che vive sopra le nuvole o chissà dove, e comunque non in me/con me. Ora che la mia visione del concetto di Dio è mooooooooooooooooolto cambiata, in primis perchè non si rifà più a ciò che altri ripetono a mò di disco, alla fine devo riconoscere che l’analogia del pastore e delle pecorelle non è così sbagliata, quanto molto sbagliata era semmai la sua interpretazione (piuttosto letterale). Se andate a rileggere più sopra, troverete scritto che “non esiste il mio volere, non esistono scelte” nel campo dell’Esistenza, nel campo di Dio, se volete. Detto così, altro che pastore! Questo qui sembra un dittatore a tutti gli effetti! Ma perchè? Perchè le parole non riescono a spiegare l’unità, l’indistinguibilità, e così richiamano alla mente immagini di separazione condite con “antropoformizzazione” di tutto ciò che è.

Vi lascio con una storiella. Mario è un manager di un’azienda. E’ una persona molto responsabile, amorevole, diligente e generoso. Ogni mattina si sveglia alle 6 e mezza, fa colazione, si lava e, prima di uscire di casa per andare a lavorare, saluta sempre quella che da 15 anni è sua moglie e i suoi due amati pargoletti assonnati, pronti per il nuovo giorno di scuola. Mario sale in macchina e prende la solita strada per raggiungere l’azienda. Il percorso prevede qualche chilometro di autostrada e a quell’ora, si sa, di macchine ce ne sono parecchie, in giro. Un incidente è la causa di una lunga coda. “E che cavolo! Di questo passo non arrivo più al lavoro…”. Passata una mezz’oretta buona, finalmente eccola: l’autostrada, il luogo ideale per recuperare il tempo perso (?). Mario va. E va, e va, e va quando, improvvisamente, appena davanti a lui un’auto scarta bruscamente andando quasi a tagliarli la strada e costringendolo a sua volta ad uno scarto repentino. Purtroppo per lui, questa manovra lo porta a toccare il muretto alla sua sinistra, provocando un fragoroso rumore di lamiere e facendo ribaltare l’auto. Mario perde i sensi. Quando si risveglia sul letto d’ospedale, sono ormai passati 5 giorni. Sua moglie è stata sempre lì, accanto a lui pregando perchè si svegliasse. “Ciao”, dice lei. “Ciao…” - risponde lui quasi sospirando - “Ch… Chi sei?”. “Come ‘chi sono’? Sono Anna, tua moglie”. Dopo tanti tentativi, Anna esce dalla stanza affranta, in lacrime: Mario non aveva idea di chi lei fosse. Non ricordava nulla di ciò che era la sua vita prima dell’incidente: il suo primo ricordo è la faccia di quella sconosciuta e del suo “Ciao”. Passa il tempo e anche la sua personalità sembra cambiata: è più scontroso, più impaziente, ripudia la pasta all’amatriciana quando prima ne andava ghiotto e adora il colore rosso, mentre prima preferiva di gran lunga il blu. Il Mario di prima sembra non esserci più: ne è subentrato uno nuovo, diverso, quasi estraneo. Eppure non ha mai smesso di essere: era prima dell’incidente, è stato durante l’incidente ed è ora.

Chi ha orecchie per intendere, intenda!

;-)Yin_and_Yang

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