Immaginiamo una scena. E’ domenica pomeriggio. Un’altra lunga settimana di lavoro è finita. Avete dato retta otto ore al giorno per cinque giorni a quel simpaticone del vostro capo, che vi ha fatto sgobbare ancora più del solito senza darvi la soddisfazione di ricevere un complimento. Avete sostenuto una divertente uscita notturna con gli amici e siete tornati a casa che la notte ormai era piena di rughe. Siete usciti a fare qualche compera con il/la vostro/a partner e avete passato l’intero pomeriggio tra file e file di scaffali e interminabili attese per ottenere l’attenzione di un commesso oberato di clienti. Avete fatto un giro in posta, in banca e a pagare l’assicurazione della macchina, per l’immensa gioia del vostro cuore e lo svuotamento istantaneo del vostro portafogli. Siete riusciti perfino a sorridere all’assicuratore, nonostante sia di per sè una piccola sanguisuga e per giunta di un’antipatia rara in questo universo, da ritenersi quasi onorati di conoscere una persona di tal foggia. Avete sistemato ben bene la casa, pulito il pavimento, spolverato i mobili e pure lavato i vetri, che ormai erano più opachi del muro. Questa mattina, tagliaerba tra le mani, avete dato una bella rinfrescata al piccolo giardino di casa, liberandolo da serpenti, conigli e piccoli predatori nascosti da qualche tempo tra quello che ormai era diventato un campo di grano verde. Avete fatto da mangiare, un bel mangiare perchè, diamine, è il fine settimana e volete trattarvi un po’ meglio degli altri cinque pesanti giorni, o sbaglio? Pure qualche parente è venuto! Di tutto. Avete fatto di tutto per sei giorni e mezzo. Ma adesso, aaah! Finalmente un po’ di riposo. Cavolo se ve lo meritate!
Dai, sdraiatevi su quel bel divano, ricolmo di tante gradevoli promesse rilassanti. Finestra aperta, tanto non fa freddo, così si respira pure un po’ d’aria buona. Al limite tirate giù la tapparella, fino a metà, giusto per non avere il sole dritto in faccia. Il mondo intero si è messo d’accordo con voi e la vostra richiesta di tranquillità è stata accettata con gran piacere. Oooh, ora via: riposatevi. Sentite che bel silenzio, che bella pace? Non vola una mosca. Riposano pure loro. Si sentono soltanto i simpatici cinguettii di qualche uccellino, canti ideali per il relax. Dev’essere questo il suono della perfezione. Ciao a tutti, per un paio d’ore non ci siete per niente e nessuno.
“Ma che cazz…”. Proprio in questo preciso istante di abbandono estatico, il vostro vicino decide che è il momento più giusto per spaccare totalmente il silenzio: accende la sua sega elettrica e inizia rumorosamente a tagliare i rami delle sue infinite siepi. Quanti saranno, 50-60 metri? Ci metterà ore! Ma non è possibile, li mortacci sua! Come faccio a dormire?! Cioè, vacca boia, era tutto silenzioso e adesso che il silenzio serve veramente guarda te ‘sto stronzo…
E difatti poi non riuscite a prendere sonno: il tiepido e delicato rumore della motosega, che poi non è neanche elettrica ma a miscela (ri-mortacci!), funge da catalizzatore assoluto della vostra attenzione. E arrivederci al riposino.
Ma perchè succede? Perchè ci arrabbiamo e suoniamo al campanello di molti santi del calendario (non ottenendo mai uno straccio di risposta, tra l’altro)? Se l’intento risoluto è, nel nostro esempio, quello di riposare, perchè basta poco per farci innervosire e distrarci immediatamente dall’obiettivo? Come oggetto “distraente” ho messo la motosega e la sua intensa melodia, ma ci sta bene qualunque cosa, anche il semplice tuffo più o meno cadenzato delle gocce d’acqua dal rubinetto dentro un catino mezzo pieno. Siete lì tranquilli, che magari state pure meditando concentrati e in sottofondo sentite plop… silenzio… plop… silenzio… silenzio… “Ooh, meno male. Ha fin…” plop. Vi innervosite, l’unico compagno del quale siete disposti ad accettare la compagnia è il silenzio. E la meditazione possiamo mandarla bellamente a quel paese. Qual è la causa?
Noi. Noi siamo la causa. Ci siamo noi, è questo il problema. Anche quando sembra che non stiamo facendo niente, in realtà una cosa la facciamo sempre: spostiamo l’attenzione. E dove va l’attenzione, lì ci siamo noi. A quel punto intervengono degli schemi mentali deterministici. Ovvero, stando al nostro esempio: non è possibile fare un sonnellino con la costante presenza di un caos rumoroso in sottofondo. Aggiungiamo pure che questo sonnellino lo abbiamo anelato come Berlusconi anela a farsi una bella e giovane minigonna e la frittata è bella che fatta. Siamo costantemente rivolti all’esterno, e con “esterno” intendo dai pensieri in fuori. Perchè anche i pensieri sono all’esterno, sono fuori da noi, dai veri noi. Finchè c’è concentrazione, siamo rivolti all’esterno e ne siamo in balìa. Per cui, avendo noi un obiettivo da raggiungere (il riposino) e avendo in mente il solo modo per raggiungerlo, ci concentriamo affinchè la situazione segua lo schema. Non appena c’è un evento imprevisto, che esula dal paradigma, panico: l’attenzione, quindi noi, va su quell’evento e manda all’aria i nostri piani.
E’ il vicino con la sua amata motosega, il problema? O siamo noi? State parlando con una persona e il discorso è ormai intavolato. All’improvviso un cane inizia ad abbaiare per i fatti suoi e il rumore è abbastanza forte, ma non va ad inficiare in chissà quale maniera la vostra comprensione delle parole dell’interlocutore. Però è insistente e la frustrazione comincia ad insinuarsi, subdola e determinata. Arrivate al punto da interrompere la conversazione, della quale avevate già perso qualche pezzo dal momento che il cane ha iniziato a rompere le balle, e urlate “Basta abbaiare! Stai zitto!”. Ma cosa c’entra il cane?! Non ce l’ha con voi, manco vi vede, manco sa che siete lì. Perchè vi spostate dal discorso al cane? E perchè l’abbaiare del cane, non potente abbastanza da rendere impossibile comprendere le parole del vostro interlocutore, è un rumore per voi inaccettabile?
Per meditare è necessario il silenzio. E se per caso capita che non sia così, il suono “di disturbo” afferra la vostra attenzione e vi distrae. O vi innervosite oppure vi fissate col dirvi di non farci caso, di non distrarvi, che non è niente. In entrambi i casi l’unico effetto ottenuto è di bloccare l’attenzione proprio su quel suono. Esattamente il contrario della meditazione. Perchè per meditare il silenzio non è assolutamente necessario. Può aiutare, questo è vero, ma la meditazione non è solo mettersi seduti in una certa maniera e fare determinate cose evitandone altre. La meditazione è uno stato dell’essere. Si può essere meditativi anche durante un concerto degli Slipknot.
E’ tutta una questione di attenzione e concentrazione. Normalmente abbiamo un obiettivo e concentriamo la nostra attenzione su un modo per raggiungerlo, che sia il riposino, una discussione o la meditazione. Se accade un qualcosa che esula, nella nostra testa, da questo modo, allora ci opponiamo a quella cosa e così facendo noi “ci siamo”, ci mettiamo in mezzo (diavolo). E quando ci siamo “noi” manca tutto il resto. E’ solo nel momento in cui l’attenzione si espande al punto da sparire, al punto da non essere concentrata da nessuna parte, che noi “scompariamo”, “ce ne andiamo” e i rumori della motosega, quello del cane e quello delle gocce d’acqua diventano magicamente ciò che sono nella realtà: rumori. Rumori degni di esistere esattamente come il silenzio. A questo punto se vogliamo riposarci, ci riposiamo; se vogliamo ascoltare ciò che una persona ha da dirci, la ascoltiamo; se vogliamo meditare, meditiamo. I rumori sono sempre lì, ne siamo perfettamente consapevoli, ma siamo in egual modo consapevoli che è normale che ci siano, così come è normale che l’erba del nostro prato è verde o il soffitto di casa bianco.
E’ come prendersela con il tempo, quello atmosferico, quando fa caldo o quando fa freddo. Stessa cosa. Il conflitto, il disordine lo immaginiamo noi e agiamo di conseguenza. La realtà dei fatti ci smentisce clamorosamente, ma siamo troppo immersi nel mondo immaginato per accorgercene. Il frastuono della motosega non entra in conflitto col cinguettio degli uccelli, nè col sottile fruscio delle foglie mosse dal vento; il cane e il suo abbaiare non è in conflitto con la voce del vostro interlocutore; e il plop delle gocce d’acqua non è in conflitto col silenzio. Sono tutti suoni contemporaneamente presenti indipendenti l’uno dall’altro, dotati tutti insieme di una loro armonia generale. Ma finchè ci si concentra solo su uno, tendenzialmente quello ritenuto arbitrariamente come il più fastidioso, si perde tutta la poesia e ci si incazza per niente, per un mondo che non è nemmeno reale: è presente solo nella vostra testa, è immaginato. E pieno di conflitto. D’altronde l’immaginazione cosa fa di solito? Crea oggetti e realtà che non esistono, che non sono reali, giusto? Se il conflitto esistesse davvero, perchè dovremmo crearlo?
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