Oggi provo a insinuarmi ancora di più nell’antro intricato delle contraddizioni spirituali, delle ipocrisie religiose e del “rumore” imperante in ogni dove su questi temi. Provo a farvi vedere come siamo praticamente tutti in “errore” nel nostro rapporto con il divino, riversando sempre su di “lui” la colpa per i nostri peccati. “Divino” inteso come principio perfetto comune all’universo nella sua totalità, non come omino sulle nuvole. “Peccato” inteso come “mancare il bersaglio”. “Bersaglio” inteso come “realizzazione personale” (non è proprio corretto, come vedremo). Se si riesce a capire il discorso, siamo a posto. Ci provo.
Prima, però, devo mettere bene in chiaro l’assunto di base valido in qualunque settore e sottofondo di qualsiasi discussione: l’assoluto e il relativo, ovvero l’uno e il due o dualismo. L’ho scritto anche poco tempo fa ma è giusto riscriverlo qui. L’assoluto è… l’assoluto. Uno, infinito, eterno, onnipresente e chi più ne ha più ne metta. In questi termini, Dio è nella sua vera forma più totale, chiamiamola “macro”, completa, illimitata. E’ ovunque in ogni tempo. E’ qualsiasi cosa, letteralmente qualsiasi cosa e qualunque essere vivente, letteralmente qualunque essere vivente in ogni possibile manifestazione. E’ l’esistenza tutta, l’intero spettro di frequenze e tutto ciò che vi è dentro. Non sforzatevi troppo di immaginarlo: è impossibile, la mente nun ja fà. Questo è l’assoluto. Tutto proviene da qui e tutto ha il fine di tornarci.
Nel mentre, questo tutto assoluto vive il relativo. L’uno si scinde e diventa due. E’ il dualismo. E’ l’esistenza per come la percepiamo ora. E’ l’universo in cui viviamo, nel quale c’è un polo positivo e uno negativo, un interno e un esterno, un “io” e un “altri”. E’ il confronto, la relazione tra due entità, il contatto, la frizione, il conflitto. E’ il divino e il non divino, l’essere opposto al non essere, il regno della distinzione. Per cui, nel relativo vi è una parte che è Dio e una che non lo è. Una parte Perfetta, con la P maiuscola, e una no. Ma tutta la manifestazione relativa è comunque “figlia” di quella assoluta. Per cui il Dio “macro” è sempre in ogni dove in ogni tempo eccetera.
Quindi, in assoluto è tutto perfetto. E’ praticamente impossibile parlare dell’assoluto e, anche se fosse, non è ciò che stiamo percependo ora. Per cui il discorso sarà necessariamente relativo… al relativo, al mondo dualistico. Tenetene comunque conto: tutto è assolutamente perfetto. Quando parlerò di “uomo”, “Dio”, “perfezione”, “bene”, “male” eccetera sarà tutto dentro il relativo.
Vi ricordate quando vi dicevo di non cercare Satana chissà dove perchè Satana, in questo preciso momento, siamo proprio noi? Perfetto, ora provo a spingere il discorso un po’ più in profondità e, se mi riesce bene, alla fine ci sarà un’inversione di prospettiva. Vediamo se ci riesco. L’esperienza che viviamo ogni giorno è quella del relativo, non dell’assoluto, ed è a questa che dobbiamo rifarci proprio per “tornare” all’assoluto (congiungere gli opposti). Per cui siamo in una realtà nella quale vi è uno stato dell’essere più elevato, la completa Perfezione, quello della più alta consapevolezza possibile, quello della consapevolezza sull’assoluto: e uno stato più basso, di maggiore Imperfezione, più caotico, quello meno consapevole. Qualcuno in passato li ha chiamati “divino” e “umano”, “Dio” e “uomo” inteso come “animale”. Fantastico, è un’ottima distinzione per aiutare la mente a capire.
Ovviamente, che ve lo dico a fa?, ognuno di noi normalmente si ritrova nel secondo stato dell’essere, quello più basso, poco consapevole, più animale, più caotico e rumoroso, alla mercè del mondo. A un certo punto in un modo o nell’altro, e di modi ce ne sono a milioni, si viene a sapere che probabilmente questo stato basso non è l’unico possibile: ce n’è uno più alto, più perfetto, al quale ognuno può tendere e aspirare. A meno che non si rimanga invischiati in quei tizi, quelli che rispondono a un uomo vestito di bianco con la mitra in testa. In questo caso, lo stato alto te lo scordi: prima crepa, poi se ti va bene ci arrivi, se no ti pigli un bel forcone in quel posto per i secoli dei secoli. Amen. Noi siamo normalmente inconsapevoli di questo stato e non lo percepiamo. Ma non significa che non esista.
Tra le diverse pratiche per raggiungere lo scopo, ne prendo una a titolo d’esempio ma il discorso vale analogamente per le altre. Prendo la preghiera, intesa non come parole ripetute a pappagallo, ma come parole utili a generare nel cuore un sentimento di pace e di amore. Che poi è questo a fare il lavoro, non le parole in loro. Qual è l’atteggiamento, quando preghiamo? Qual è l’immagine di fondo? Quando preghiamo, chiediamo a Dio, alla realtà o come volete, di darci qualcosa. Tralasciando i soldi, la macchina nuova o la bella strappona, alla fin fine chiediamo di poter vivere la percezione dello stato alto, in modo da ricondurci all’assoluto. Sentiamo un senso di vuoto e vogliamo, giustamente, colmarlo. Ma cosa significa questo? Significa che ci dimentichiamo che il Dio “macro” è ovunque in ogni momento. Anche in questo, nel quale non lo percepiamo. Pregandolo per “chiedergli di farci entrare” stiamo intrinsecamente affermando che “l’errore” che ci impedisce di percepire lo stato alto è di Dio stesso. Noi bussiamo e bussiamo ma la porta non si apre: chiediamo e chiediamo ma non ci viene dato. Noi ce la mettiamo tutta, ma poi è “lui” a mancare. Forse chiediamo male? Cambiamo modo. E chiediamo e chiediamo: niente. Bussiamo in tutti i modi, magari c’è una sequenza particolare, una combinazione da Mission Impossible: niente. Oh, non apre. La “colpa” quindi è implicitamente sua.
No no. Vado giù proprio diretto: la “colpa” è tua. Tua di chi? Dell’uomo, ovvero dell’essere consapevole solo dello stato basso. Dio non ha problemi, per definizione. Se non riesci a percepire Dio, se non riesci a vivere lo stato alto, significa che qualcosa te lo impedisce. Quel qualcosa sei tu. Quel qualcosa è ciò che senti come “io”. E’ inutile chiedere a Dio di farti vivere la sua perfezione: tu, questa perfezione, non la vuoi vivere. Continui a metterti in mezzo. Sei il man-in-the-middle, l’uomo nel mezzo. Il diavolo. Dio, la porta, te l’ha già aperta: è da quando sei venuto al mondo che è lì a tenertela aperta. Sei tu che ti distrai, ti fai distrarre dal mondo. Mettiamola così: qual è una caratteristica fondamentale di una persona egoista? L’egoista cosa fa? Mette sempre sè stesso al centro di tutto: bisogna parlare di lui/lei, bisogna guardarlo/a, ascoltarlo/a. Insomma, bisogna dargli/le tutta la nostra attenzione. Giusto? La stessa, precisa, identica cosa vale per te, all’interno. D’altronde, la manifestazione esteriore è uno specchio di quella interiore, quindi… C’è una “cosa” che ha chiesto la tua attenzione, sempre di più. Tu gliel’hai data talmente tanto, e continui a dargliela talmente tanto, da esserti convinto di essere quella roba lì. Sei tu, ormai ci sei appiccicato col super attak.
Avete presente Venom, il simbionte, personaggio dell’Uomo Ragno? E’ quell’essere appiccicoso nero che si attacca addosso a una persona-ospite e piano piano ne assume il controllo, annullandola e convincendola di essere lui. L’analogia è sconcertante.
Sei diventato l’uomo, “scendendo” dal livello divino, dallo stato alto. Per te c’è l’uomo, l’animale, l’apparenza, mentre il concetto di Dio è un qualcosa di lontano, che non si fa sentire, che non si è mai fatto sentire. La tua consapevolezza riguarda qualcosa che non è Dio, altrimenti non chiederesti nulla. Hai diviso il mondo in “buono” e “cattivo” e persisti nella convinzione che il “buono” sia degno di essere vissuto, mentre il “cattivo” no. Non vedi la perfezione e anzi le addossi addirittura delle colpe.
Ma come è possibile? Eh eh, è poesia. Dio è l’essere, è tutto ciò che è. Ergo, ovviamente per poterlo sperimentare dobbiamo essere anche noi, giusto? Sbagliato. Per vivere l’essere bisogna non essere. Bisogna sparire. Ma se io ti dico così, tu cosa capisci? Non avendo mai conosciuto altro se non quella roba lì che ti sei convinto essere tu al punto da non poter pensare ad altro, se ti dico “devi sparire” tu mi dici “ma sei scemo?! Devo morire?!”. Giusto? Più o meno c’ho preso? Tranquillo: non è così. “Sparire” non significa “morire”: si può bellamente sparire senza per questo smettere di battere le palpebre. In quel momento avviene una magia: si nasce. Si sente la vita. Si sente ciò che realmente è. Si capisce come l’uomo, l’io, sia falso, come sia ingannatore, come ti abbia allontanato dalla vita senza fartene nemmeno rendere conto.
Provate a meditare. Mettetevi lì, eliminando il più possibile le fonti esterne di disturbo: niente rumori, magari pure niente luce e chiudete gli occhi così da avere poche informazioni su cui potervi concentrare. Con il tempo riuscirete a sentire una cosa fantastica. Noterete come la realtà oggettiva, senza etichette nè giudizi, sia silenziosa: è lì e stop, non fa nulla. Il contraltare di questo silenzio siete voi. Noterete, lo sentirete, percepirete distintamente in tutto il corpo l’attimo esatto in cui vi mettete in mezzo. O meglio, in cui mettete in mezzo quella roba lì che siete convinti essere voi (per il normale livello di percezione, però, non c’è separazione tra voi e quella roba lì, per cui sentirete come se foste voi stessi a mettervi in mezzo). Con “mettervi in mezzo” intendo che romperete il silenzio della realtà oggettiva in mille modi diversi: tramite il pensiero, le emozioni, le convinzioni, le domande, i giudizi, l’orgoglio, lamenti vari, la paura, l’irrequietezza, la noia, le aspettative e in 989 altri modi. Succederà una meraviglia: vedrete quella roba lì che chiamate “io” prendere forma, la riconoscerete. Ma quindi, se potete esserne testimoni, significa che non siete voi. Man mano potrete sentirla sempre di più, anche senza il silenzio del mondo esterno, nelle rumorose situazioni di tutti i giorni.
Eccoti, ben arrivato: sei nello stato alto, finalmente. “Come faccio a sapere di essere arrivato?”, chiedi. Beh, finchè lo chiedi significa che non ci sei… Comunque, non preoccuparti: quando ci arrivi lo senti. E come se lo senti!
Ma tutti noi, in questo esatto momento, stiamo dando la nostra attenzione all’uomo nel mezzo. Probabilmente voi non avete avuto la fortuna mia di provare l’assenza dell’io. E di riprovarla. E’ di una bellezza indescrivibile e letteralmente inimmaginabile. Eppure, anche per me che ho avuto il culo di viverla anche solo per poco, compiere il salto dello scioglimento dell’io è ora straordinariamente complicato. Capisco perfettamente la paura di un balzo completamente nel buio: non avete la minima idea di cosa vi aspetta “dall’altra parte” e non importa quanto bene ve ne possa parlare io: vi farete un’immagine vostra, ovvero vi metterete nel mezzo. Io che un’idea ce l’ho sono pur sempre nel mezzo, perchè mi sforzo di ricordarmela e quindi provo a ricrearla in qualche modo. Che pirla, eh?
Come si fa a sciogliere l’ego? Non si fa, è questo il bello. Ogni volta che si prova a fare qualcosa, ci si mette nel mezzo. Anche provare a dire “ok, adesso sparisco così vivo lo stato alto” è mettersi nel mezzo. Anche dire “ok, non faccio nulla” è mettersi nel mezzo. Arrendetevi. Osservatevi e arrendetevi. Congiungete gli opposti. Ma non provate a congiungerli: sono già congiunti. Riconoscete questa congiunzione. Ce l’avete davanti agli occhi in ogni singolo istante.
Si capisce l’inversione di prospettiva? Troppe volte ho letto, e leggo ancora, di spiritualità in termini negativi, in quanto si parla della nostra attuale percezione come limitata da una gabbia, che siamo in una prigione sensoriale dalla quale dobbiamo uscire per raggiungere la “realizzazione personale”. Che egoisti! Ma che “realizzazione personale”?! Non sei tu a realizzarti in Dio; è Dio a realizzarsi in te, nel tuo corpo e nella tua mente (che, se hai seguito un attimo il ragionamento, non sono nemmeno tuoi). Tu te ne devi d’annà! Via, fuori dalle balle! Sei già realizzato per il semplice fatto di esistere: ora spostati, lascia che sia Dio a realizzarsi pienamente in te. Lascia che la vibrazione più alta si manifesti attraverso te senza distorsioni. Lascia che le tue azioni siano spontanee, intimamente sentite, così come i tuoi pensieri e le tue parole. Questa realtà non è una gabbia, non è uno schifo, non è imperfetta o indegna. E’ talmente fantastica che lo spirito vi è “sceso” dentro, vi è entrato per poterla vivere in prima persona ed “elevarla” a sè. E’ la perfezione assoluta stessa in manifestazione. Pensate quanto siamo rincoglioniti e in opposizione al nocciolo della realtà, a quella vibrazione di base comune all’intero universo.
Cazzo, ma è solo a me che queste cose fanno impazzire di poesia?
Nessun commento:
Posta un commento