01 luglio 2014

Neil deGrasse e il manifesto della scienza: la comprensione sta da un’altra parte

Ok, allora: è da un po’ che non scrivo qui sul blog. Il motivo è che sto provando a scrivere altro (o meglio, in un’altra forma) e mi sono accorto di non riuscire a coniugare proficuamente le due cose. Già un altro paio di volte avevo tentato di focalizzarmi “sull’altra forma” e sembrava ci fossi quasi riuscito. Ma poi, puntualmente, mi ritrovavo di nuovo qui a buttare giù un paio di papiri sotto forma di post e addio sogni di gloria. Stavolta mi sono imposto di non tornare su questi lidi digitali così assiduamente e magari farlo solo per brevi puntate. Oggi è una di queste.

Due fatti concatenati. Il primo: ieri sera stavo guardando Germania – Algeria. Sì, non sono uno di quegli snob della domenica, finti attivisti e moralisti del cazzo che “non guardano i mondiali perchè sono contro il governo brasiliano, le multinazionali, e il calcio è un’arma di distrazione di massa, ed è per i pecoroni, e prendono barcate di soldi”, tutti questi piccoli e falsi Gandhi frustrati che cercano di darsi un tono per non ammettere a loro stessi la miseria che sono. Mentre guardavo la partita, c’è stato un momento strano. Non lo saprei descrivere. Avete presente la scena del primo Matrix, verso la fine, quando Neo entra dentro l’agente Smith, lo fa esplodere e  poi riesce a vedere la matrice oltre l’apparenza dell’ambiente circostante, con tutti i numeri verdi in cascata? Ecco, una roba concettualmente simile. C’erano degli omini vestiti di bianco e nero contro altri vestiti di verde, e si muovevano tutti coordinati cercando, gli uni, di segnare e gli altri di difendersi. Tutti, però, provano a capire come portare a termine il loro lavoro attraverso gli schemi di gioco, movimenti, tagli, coperture, mosse e contromosse. Osservano la situazione ogni istante e si ingegnano per capire come fare, da dove passare, a chi passare. E così mi sono ritrovato a farlo anch’io, a seguire da una posizione rialzata rispetto al campo visivo dei giocatori sul campo lo sviluppo migliore per l’azione. Non è la prima volta, ovviamente, che accade. A occhio e croce direi sia la milionesima e uno. Ma c’è stato un attimo diverso da tutti gli altri, nel quale ciò è accaduto portando con sè una frazione di secondo di maggior consapevolezza.

Per un istante eternamente breve ed eternamente lungo, è’ diventato palese di fronte ai miei occhi, dentro ogni fibra del corpo e luminoso nella mente, l’unico vero motore dell’intera esperienza universale (ellamadonna, addirittura?! Guardando una partita di calcio?!): la conoscenza. Tutte le nostre vite, la ragione d’esistenza dell’universo e delle forze che lo abitano e lo formano, anch’esse manifestazioni intelligenti al pari di tutto il resto; tutto ha lo scopo ultimo della comprensione. TUTTO. Capire, provare e riprovare, vivere, esperire. Il fine è la comprensione, la conoscenza. La vita vive per conoscere e conoscersi, al punto che “vita”, “conoscenza”, “comprensione” e “consapevolezza” sono perfetti sinonimi. Dal più piccolo e infinitesimale episodio nella vita di un microbo, all’esplosione di una supernova, passando per i fatti della nostra vita di tutti i giorni: tutto è funzionale alla comprensione. La parola d’ordine è “capire”, che siano i misteri dell’universo o il modo per segnare un gol.

Il secondo fatto cade a fagiolo con un tempismo… divino, perfetto come sempre. Stamattina stavo leggendo un articolo, del “Siege Media Comedy Blog” a firma Alex Van Hamme, linkato dalla pagina Facebook ufficiale di Bill Hicks, nel quale si parla della comicità satirica oggi. A quanto pare, qualche tempo fa un tizio aveva scritto un pezzo sui comici “post-Carlin”, come ad esempio Louis C.K., definendoli come “i veri filosofi di questa generazione”. L’articolo linkato era una risposta (che mi sento di condividere in pieno: Hicks e Carlin sono di un altro pianeta) a quest’affermazione. Comunque sia, a un certo punto nell’articolo l’autore parla di Neil deGrasse Tyson, scienziato (o meglio: scienziologo) del quale avevo parlato anche io qualche tempo fa in merito alla serie di documentari “Cosmos”, e non ne parla proprio bene. Lo definisce come “una delle personalità, nella moderna cultura popolare, più distruttive nei confronti della filosofia”. Azz, pesante. Come mai?, mi chiedo.

Due righe, un collegamento a un articolo di “The Week Magazine”, ed ecco la risposta: deGrasse ha rilasciato un’intervista audio per “The Nerdist Podcast”, di tale Chris Hardwick (da Wikipedia apprendo essere un comico, scrittore, sceneggiatore e mille altri ruoli) e fin qui nulla di male. Non fosse che, a un certo punto, il simpatico Neil comincia a demolire quella pratica irrisoria e deplorevole chiamata “farsi delle domande”. Prendo un pezzo riassuntivo da “The Week Magazine”, ma se capite l’inglese e volete ascoltarlo in prima persona, andate a questa pagina, fate partire l’audio e saltate a qualche secondo oltre il minuto 20.

Dichiara fieramente la sua irritazione con il “farsi domande profonde” che portano a “inutili ritardi nel tuo progresso” nell’affrontare “questo grande mondo dell’ignoto là fuori”. Quando uno scienziato incontra qualcuno incline a pensare filosoficamente, la sua risposta sarebbe di dirgli “Sto andando avanti, ti lascio dietro e non puoi nemmeno attraversare la strada perchè sei distratto da domande profonde che hai fatto a te stesso. Non ho tempo per questo”.

Van Hamme riporta un’altra affermazione dello scienziologo:

“I filosofi credono di stare ponendo domande profonde sulla natura. E per lo scienziato è ‘cosa stai facendo? Perchè stai buttando via il tuo tempo? Perchè ti fai problemi col significato del significato?’”

Questo è un esempio fulgido della scienza oggi e va a confermare quanto avevo già scritto su deGrasse, Hawking e la scienza in generale. Siamo esseri naturalmente dotati della capacità di dare senso alle cose, di comprenderle, di capirle fino al midollo ma, scienza docet, dobbiamo solo limitarci a descrivere l’universo, non a capirlo. Accade un evento, tipo la cazzo di mela di Newton (diamola per buona): questo si mette lì, trova la formula della gravità e via, finito, capito. No! Ha solo descritto il funzionamento, ma la comprensione è un’altra cosa. “Comprendere” significa trovare la risposta non al “come”, ma al “perchè”.

Sono lì seduto sotto un albero, pacifico e in relax, lontano dal caos del mondo. All’improvviso qualcosa coccia contro la mia testa, causandomi dolore. Piccola bestemmia mentale, poi abbasso lo sguardo: è una mela. Facciamo finta che la comprensione, la conoscenza, sia la risposta al “come”: come è caduta la mela? La mela è caduta dall’alto verso il basso. Cazzo, che sforzo di comprensione! Newton, giustamente, non si è chiesto “come” ma “perchè”: perchè codesto frutto è cascato sulla mia britannica capoccia? Così ha fatto un passo verso la comprensione: è stata la forza di gravità. Il problema è che si è piantato lì, dopo aver trovato la formula. Non ha davvero capito la gravità: ha capito che c’è qualcosa, l’ha chiamata “forza di gravità” e ne ha descritto il funzionamento. Punto. Ma cos’è la gravità? E perchè esiste? E perchè esiste in questo modo? Perchè non in un altro?

Perchè i corpi celesti sono sferici? Magari non sfere perfette, ma comunque sferici. Perchè l’acqua? Perchè l’interazione sole-acqua? Perchè due braccia? E perchè in quella posizione? “Perchè così si può stare eretti e afferrare le cose”. NO! Non è una risposta valida. Non è una risposta al perchè ma al “cosa si può fare per sfruttare questa condizione”. Capire il perchè ultimo delle cose: questa è la vera comprensione. Significa mettersi nei panni dell’intelligenza che ha “inventato” tutto questo e che continua a renderlo perfettamente coerente. Ah già è vero, scusate! Colpa mia, che sciocco che sono: per la scienza è tutto frutto del caso. Niente ha una vera ragione d’essere: è semplicemente capitato andasse così. Una cosuccia piccina picciò, minuscola, apparsa non si sa come, si è improvvisamente espansa espansa espansa fino a diventare troppo grande da anche solo lontanamente immaginare, esistendo perfettamente non per un giorno, nè per un mese e nemmeno per un anno ma per 14 MILIARDI di anni senza mai diventare in nessun punto incoerente con sè stessa, nonostante le fantastiliardi di interazioni/collisioni che si verificano anche solo in 1 centimetro quadrato in 1 nanosecondo. Ma fa niente: è il caso.

Ma perchè? Perchè? Perchè la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone? Perchè?

:)

 

P.S.: prima ho scritto “mettersi nei panni dell’intelligenza che ha ‘inventato’ tutto questo”. Si potrebbe anche scrivere così: “cominciare a sentire intimamente l’essenza della realtà e accorgersi di essere esattamente quella roba lì”.

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